talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

23 settembre 2006

Piazza Yenne

Oggi mi sono mangiato le lasagne. Poi, mi sono spazzato via i rimasugli della paillard di carne di cavallo della mia compagna di pranzo. Non so com'è come non è, ma da quando sono qua a Cagliari mangio come un cesso. Ma di brutto.

Ieri sera a mezzanotte mi sono sparato in corpo fettuccine al suglo di limone - una scickeria - e poi una sberla di gulash che mi sembrava di essere in un pub di Budapest all'ora di punta. Qui a Cagliari, il gulash lo fanno bene, a via San Lucifero numero 17, un nome che è tutto un programma. D'altra parte è vero che Lucifero, prima di diventare il capo dei diavoli, era un santo. Anzi, era il santo più amato da Dio, se non ricordo male. Che alla fine se ci pensi Lucifero, di nome, vuol dire uno che porta la luce. E a volte troppa luce ti acceca, ti abbaglia. Comunque, il gulash era buonissimo.

Poi un'altra cosa di questo ristorante è che i proprietari si siedono al tavolo con te e conversano mentre ti mangi quel mondo e qulle,altro - di antipasto, crostini con lardo di colonnata e paté di olive - e si sono letti un sacco di giornali. La gente di quel ristorante, ma anche la cuoca e la cameriera, sanno tutto di quello che è successo in giornata. Leggono un sacco di giornali.

Ieri sera ci siamo fatti un giro in motorino. Cagliari sembra Genova. Alla fine, è tutta in salita come città. Ieri sera ci siamo sparati un salitozzo che sembrava quello che ti porta su al Righi e poi siamo arrivati a via San Lucifero, che si trova vicino al bastione - non lontano da dove vivo adesso, alla Marina - però ci siamo arrivati dall'alto. Mi sono fatto un po' di sight seeing.

Per il resto, fra pochi giorni esce il giornale a Roma e Milano. Non vedo l'ora, così la gente qui si rilassano. Io faccio il desk di Roma, con un'altra ragazza. Speriamo che vada tutto bene, ma secondo me sì, va tutto bene. Poi, qua a Cagliari si mangia troppo bene.

Nella foto ci ho messo piazza Yenne, che se fossimo a Genova è un po' come piazza de' Ferrari, se fossimo a Milano è un po' come boh, non so, magari piazza Castello, se fossimo a Roma Campo dei Fiori. Io abito lì dietro, nei vicoletti della Marina. Nel palazzo che di mattina presto c'è una fresatrice che tagliano i blocchi di marmo per rifare la pavimentazione e che ci passano con i camion della rumenta alle sette di mattina. Belin.

E' finito il gas della bombola, che vuol dire che di mattina devo andare giù, al bar Barcellona a farmi un caffè doppio. Ma chi se ne frega. Per il resto, domani vado alla lavanderia a gettone, aperta pure di mattina, e oggi dicono che è morto Bin Laden. Belin.

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05 settembre 2006

6 agosto, Spot hotel, Rodi vecchia


Mi sono appena fatto la barba, ce l’avevo di tre giorni, sembravo un marocchino con il pizzo bianco. Sì, perché ormai il pizzo è tutto bianco, risalta sull’abbronzatura. Ieri ho notato pure tre peli bianchi sull’uccello, è la prima volta che li vedo così bene. Uno è pure bello lungo, tutto bianco, magari me li tingo.

Mi ricordo da piccoli che mio fratello quando gli è venuto il primo pelo sull’uccello se lo coltivava, lo annaffiava. L’aveva battezzato Britt Marie. E’ il nome svedese di un’amica di mia mamma. Poi, quando gli è cresciuto il secondo pelo sull’uccello, l’ha chiamato Karen Brighenti, un’altra amica mia mamma. Io, i miei tre peli bianchi sull’uccello li ho lasciati senza nome. Peli senza padre sono.

Sono venuto a scrivere sul cesso, è l’unico posto per stare seduto in questo microbo di stanza. Domani, ha detto Lee Mavros che ce ne dà una più grande, di stanza, spero che non sia una mussa sennò gli cago in un angolo.

Già che ci sono, cerco pure di cagare. Non mi viene.

Farmi la barba a me mi rilassa, anche perché poi sembro un’altra persona. Un bravo bambino. (Non mi viene).

Oggi, la Pina sta male. Si è beccata il raffreddore. Allora abbiamo (ha) deciso di non andare a fare il bagno. E così siamo rimasti a Rodi vecchia, nei vicoli delle mucche svedesi.

Siamo andati al museo stamattina, al museo di Rodi vecchia. E’ l’ex residenza estiva di Mussolini. Già questo ti fa capire che voglia che ce n’avevo di andarci. (Non mi viene definitivamente, vado a scrivere sul letto, intanto la Pina è sfatta e dorme).

(Niente letto, la Pina dorme con il braccio sul mio cuscino. Mi sono messo al davanzale, in piedi, che c’è anche un po’ di venticello e posso fumare).

Il museo di Rodi vecchia è grosso grosso. C’erano un sacco di anfore, statue di cavalieri senza faccia, con l’elmo, ma gli avevano strappato via la faccia. Tanti mosaici con delle puzzole. Poi, alle finestre, c’erano dei cartelli poggiati per terra, di non salire il gradino e non sporgersi fuori. Uno, con la maglia di Ibrahimovic della Svezia, se n’è fregato, è salito sul gradino e ha fatto cadere il cartello di divieto. Rideva, l’ho guardato, e il mio sguardo gli diceva: “cazzo ridi”.

Mi sono lisciato la faccia appena sbarbata, liscia come il culetto di quella che sembrava Paris Hilton, l’altro giorno in spiaggia, manco un brufoletto. (Non mi viene ma continuo a scoreggiare, sarà la tiropita, meno male che la Pina dorme).

La cosa più bella del museo di Rodi, a parte il caffè alla turca tutto granuloso, sono: le miniature della dea Bouborg, Beauborgos o qualcosa del genere, che si apre le cosce e con una mano si apre lo spacco della fica. Ha pure due tettone grosse, per essere una miniatura. Chissà che facile per lo scultore fare lo spacchetto della fica di questa miniatura, un tagliettino piccolo piccolo. Carino.

Di fianco a questa miniatura c’erano i falli, dei cazzini in miniatura pure loro. Ce n’era uno che era minuscolo, più piccolo del mignolino del mio piede.

Poi, c’erano le mascherine della commedia greca. Un frammento di quella del dio Pan. Sembrava Pulcinella, un naso adunco che manco Nippo Nappi e Iaquinta.

Poi, al museo, troppo bella la storia del Colosso di Rodi, che anticamente si ergeva sulle mura della città. In realtà, nessuno sa veramente com’era fatto questo Colosso. Così, certi pittori se lo sono immaginato a gambe larghe, piantato sulle mura della città. Alto 65 metri. Poi, è arrivato un terremoto dopo una trentina d’anni che se ne stava lì, a gambe larghe. Ed è collassato. L’altro modello di Molosso, anzi Colosso, è ritratto a gambe unite, sull’attenti, con una lancia in mano, sembra uno di quelli che alle Olimpiadi portano in giro la fiaccola.

Dopo il museo, verso l’una, abbiamo preso il Typhon e siamo andati a Mandraki, nella città nuova, a comprare il paracetamolo e la biochetasi (ma non sono sicuro) per la Pina. Sai, quelle medicine che ti spari lo spray nel naso. E poi, siamo andati in gita ad un monastero.

Faceva un caldo della madonna, c’era un vento porco. Secondo me, per la sinusite della Pina era meglio se ce ne andavamo al mare. Di sicuro faceva meno freddo.

Il monastero è imbriccato in cima ad un passo montano ripidissimo, 4 km di tornanti. Sembra la strada per Bavari.

Siamo arrivati, c’era una via crucis. Ho detto alla Pina: “Lì non ci vado nemmeno se dopo mi porti a mangiare i pansoti nei vicoli”.

Allora, siamo saliti al monastero per una scalinata che non finiva più. C’era un battesimo greco. Tutti i parenti con il vestito della festa e la giacca, a 40 gradi all’ombra. Come si fa ad organizzare un battesimo il 6 agosto, lo sanno solo sti greci.

Il prete ortodosso, con i capelli lunghi grigi e raccolti, vestito talare nerissimo, lo abbiamo beccato dietro al monastero che cacciava nel prato aridissimo l’acqua del battesimo da un’enorme battistero in bronzo, un’insalatiera gigante a forma di coppa dei campioni, con le orecchie grosse (ci siamo capiti).

L’altro orecchio dell’insalatiera battesimale lo teneva la sagrestana, ma poteva pure essere una delle invitate al battesimo greco. C’era un grosso tavolo nel chiostro, con esposti tutti i regali del battesimo. Un mare di sacchetti sotto il sole.

Le donne greche sono tutte bianchissime.

Siamo passati in mezzo agli invitati, raccolti nel chiostro dopo il rito. "Kolaiannis….paramidis, sfrazein….filoporos, taxi, taxi….iassas…..karidadis, filokaridadis, felinunte….".(risate).

Ho cominciato a chiamare la Pina Iannis oppure Kolaiannis, siamo scesi giù verso il motorino (alla via crucis) sfollando insieme agli invitati del battesimo, che stavano guadagnando la scalinata in discesa pieni di pacchi giganti sotto braccio.

Una scendeva i gradini della rampa ripidissima con tacco 12 centimetri addosso, molto abile e attenta. Indossava un vestito leggerissimo, ma sotto non si vedeva niente perché si era messa la sottoveste.

Un ragazzo, vestito tutto di bianco – c’aveva addirittura i mocassini bianchi – teneva sotto braccio una vecchia per sostenerla. La vecchia era vestita tutta di nero – c’aveva pure le scarpe color pece – ed era strano perché il ragazzo bianco-vestito aveva i capelli nerissimi, mentre la vecchia nero-vestita aveva i capelli bianchissimi. Da dietro, mentre scendevano lo scalone, sembravano lo ying-yiang vivente, oppure una bandiera della Juve, o quella a scacchi della formula uno, che scende le scale sulle sue gambe.

In fondo alla rampa, c’erano tre pavoni. E tutti i bambinetti greci del battesimo a inseguirli e le madri a indicarglieli perché li ricorressero. I pavoni se ne stavano all’ombra e camminavano goffamente sul pietrisco. Assomigliavano nell’andatura a quelle con la lordosi che si mettono il tacco alto a Campo dei Fiori.

Una bambina gli tirava le pietre al pavone, i genitori ridevano, la madre era almeno all’ottavo mese di gravidanza, mentre Ilia (Elia) – un altro bambinetto – inseguiva il pennuto e si è inciampato con relativa facciata nella ghiaia. Poco prima, Ilia aveva rotto scagliandola per terra la bomboniera del battesimo, una piccola bambolina di ceramica. Io mi godevo la scena bevendomi una birra (Mythos) all’ombra di un grande salice piangente.

Dopo il monastero, non contenti, io e la Pina siamo andati a vedere la valle delle farfalle. Paghi 5 euro a cranio per entrare in un sentierino. C’è un ruscello e vedi delle farfalle. Basta. A parte il caldo porco. Al ritorno eravamo in riserva, ho fatto il pieno all’ultimo secondo, non ho fatto il bagno in tutto il giorno, siamo tornati alo Spot hotel che la Pina stava morendo di sinusite.

Stasera, giuro, mi sparo un suvlaki che in confronto il Colosso di Rodi è un’anoressica.

Al museo, tra l’altro, ci siamo fatti le foto di fianco ad una statua greca nuda (vedi foto). Aveva l’uccello microscopico, sembrava quello di mio fratello a sei anni. Ad un certo punto, ho preso la penna e gli ho disegnato il suo primo pelo sull’uccello, a questa statua greca. Un graffiti. La Pina non voleva. Ci ho scritto di fianco Britt Marie, con una freccia di uniposca indelebile. Speriamo che l’amica di mia mamma non venga in vacanza a Rodi quest’estate.

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5 agosto, Spiaggia di Afandou, 13.38


Stanotte ho fatto due sogni e con quello dell’altra notte sono tre, da quando siamo a Rodi. Stamattina per fortuna me li ricordavo bene, me li sono scritti nel mio quaderno dei sogni, meglio così, che di solito me li dimentico e poi mi rimane per tutto il giorno quella brutta sensazione di perdere i sogni.

Su tre sogni che ho fatto qui a Rodi, in due c’era la neve. Neve fuori posto, tra le altre cose. In quello di stanotte, poi, neve in agosto. Robe strane. Sarà mica lo tzatziki.

Oggi, siamo in uno spiaggione di ciottoli, molto più grande di quelli degli altri giorni. L’acqua si è calmata, prima c’era vento. A pranzo ci siamo portati il mangiare al sacco, le tiropite, ripiene di spinaci e formaggio, così risparmiamo. Gli altri giorni ci siamo calati dei pranzi luculliani, hamburger e insalata greca e birrone a mezzogiorno, e spendevamo un sacco a pranzo. Abbiamo deciso di concentrarci sulle magnate serali, ieri sera ci siamo spazzolati un’orata buonissima, anche se il proprietario del ristorante era un po’ paraculo, ci ha fatto aspettare tantissimo, poi arrostiva il pesce lì a vista, in una griglia, e il fumo ci arrivava direttamente sul tavolo.

Anche stanotte mi sono svegliato. Mi sveglio sempre di notte. Ho fumato alla finestra, poi mi sono letto due racconti di Bukowski, la Pina si è svegliata, ma poi si è riaddormentata subito. Non so come fa.

Tutto sto relax, diciamocelo, è quasi una palla. Però, anche se non vuoi ti rilassi lo stesso, perché qua c’è soltanto il mare e il sole che picchia di brutto. E’ per questo che me ne sto all’ombra, che poi sennò il sole ti rintrona. Poi, però, di sera mangiamo bene e la retsina è buona anche se sotto sotto sa di terriccio.

Per queste due settimane ci siamo affittati un Typhon, un motorino della Piaggio che è un vero trattorino, fatto apposta per gli sterrati e per tenere la velocità con la ripresa che si ritrova pure in salita. In Italia, di Typhon ce ne sono pochi, mi sa che lo fanno soprattutto per gli sterrati greci. E' un prodotto made in Italy, il Typhon. Però, quello che avevamo preso a Lefkadas tarellava molto di più, secondo me sotto ci avevano montato un novanta elaborato e avevano pure cambiato la marmitta. Questo no, a Rodi, è più inchiodato.

Stanotte mi sono fatto una bella cacata, era da un po’ che non cacavo. Si sa che in viaggio, quando cambi alimentazione, può capitare di cacare meno bene. Poi, cacare di notte è bello, perché puoi tenere la luce spenta e la porta socchiusa, così passa uno spiraglio di luce, e te ne stai seduto lì, a cacare e pensare e ti guardi la punta delle dita dei piedi e ti domandi perché i peli ti crescono solo sul pollicione e com'è possibile che il mignolo sia lì, non serve a un cazzo, però poi pensi che se per caso ti tagliassero un mignolo sai che male, quindi a qualcosa serve. Mi sembra di ricordare che il mignolino del piede serve per mantenere l'equilibrio e che la gente senza un mignolino gli viene mal di testa perché il labirinto dell'orecchio è sotto sforzo. Però non ci giurerei.

In questi giorni, sto nuotando molto. Mi faccio quaranta bracciate, prima al massimo ne facevo trentadue (al massimo). Non faccio nemmeno fatica a farne quaranta, anzi, domani ne faccio sessanta. Si vede che i polmoni mi reggono nonostante le sigarette. Ci siamo portati le scorte di Marlboro Lights dal duty free, pacchetto morbido, due stecche, stanno finendo. Con la scritta della morte ecc. in greco, c'è scritto pneuma qualcosa, non mi ricordo. A nuotare, poi, mi piace sempre tenere la testa sott’acqua e fare le capriole in avanti (quelle all’indietro no, entra l’acqua nel naso).

Il greco è incomprensibile. Però, mi piace. La Pina ormai la chiamo a turno: Kolaiannis, Petrolidis, Valaiakis. Ma Kolaiannis – o Iannis abbreviato – è il nome che preferisco. Le sta bene, la Pina c'ha la faccia da Iannis (vedi foto).

Ieri mattina, mentre tornavamo al nostro alberghetto a via Perikleus, uno dei tre cazzo di pappagalli che stanno sul trespolo in uno dei bar sulla piazza principale di Rodi vecchia ha urlato di brutto mentre passavamo. Mi sono cacato sotto dallo spavento. Gli avrei rotto la faccia a martellate, pappagallo di merda addomesticato che mi urli “malakka, malakka” a tradimento nelle uegie.

Stanotte, per dire, c’era un turista americano rincoglionito che si faceva fotografare di fianco ai pappagalli, che facevano tutte le moine, paraculi pennuti che scagazzate peggio dei piccioni sotto al vostro trespolo.

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03 settembre 2006

4 agosto, Ladikò (spiaggia di Antony Quinn, quello di “Zorba il greco”), 12.07


Abbiamo appena fatto il bagno, acqua limpida, qualche yacht in rada. Due lettini per 6 euro. Rodi non è male, ma Lefkadas è sicuramente meglio. Qui c’è un sacco di turismo, un mare di italiani e mandrie di svedesi (soprattutto teen ager, donne).

Stanotte ho vissuto una situazione drammatica. Verso le tre mi sono svegliato, forse per gli schiamazzi notturni. Abbiamo preso una stanza in un alberghetto, lo “Spot hotel”, nella città vecchia di Rodi. Una cinta di mura medievali, davvero belle da vedere dal di fuori. Dal di dentro, è una specie di recinto umano, pieno a uovo di turisti-mucca, che verso le 18.00, docciati dopo una giornata di mare, cominciano a pascolare in mezzo alla massa infinita di negozi che si susseguono senza sosta in queste vie, che hanno tutte il nome di qualche filosofo antico. Sokratous, Perikleus, Aristotelous sono il regno incontrastato di gadget, giros pitta, fumerie, pelletterie (ma che senso ha vendere una pelliccia di visone in agosto? E i camperos, ma forse questi hanno senso perché un buon 30% delle tamarre in giro porta la minigonna e gli stivali). Mucche dappertutto. Di buono c’è che ieri sera c’era uno con la maglia di Santillana.

Tornando a stanotte, mi sveglio alle tre. Mi alzo, non riuscivo a dormire. C’era caldo, anche se non paragonabile all’afa micidiale di Roma. Ieri sera siamo andati in una di queste taverne (da Kostas) segnalate sulla Lonely Planet, la nostra bibbia delle vacanze. Anche lo Spot hotel lo abbiamo individuato sulla Lonely Planet. Ci siamo venuti soprattutto per i commenti egregi di ex vacanzieri nei confronti del proprietario, Lee Mavros, un greco gioviale, grasso, sui 45 anni, un po’ calvo e ricciolo, che parla americano che sembra JR.

Comunque stanotte alle tre mi alzo. Ieri sera da Kostas abbiamo mangiato nell’ordine: tzatziki (aglio allo stato di yogurt); feta saganiki (due tocchi così di feta fritta); io, calamari fritti; la Pina, polpette di carne. Da bere, retsina. Da Kostas mentre mangiavamo c’era un gatto bianchissimo che camminava in mezzo ai tavoli, sembrava un gatto albino, tendente al giallo da quanto era bianco. Era talmente bianco questo gatto e arruffato, che gli si notavano le borse nerastre sotto gli occhi. Kostas è in via Pitagora, che però in greco si dice Pitagòra.

Insomma, mi sveglio alle tre, per gli schiamazzi, ma anche perché mi sento un po’ appesantito da questa cena. Rutto tzatziki, poi mi metto al davanzale della finestrella (la stanza è microscopica) e qui succede il mio dramma. Mi accendo una Marlboro Lights, mentre la Pina sta dormendo della grossa anche se ho dovuto accendere la luce per trovare l’accendino sul tavolo pieno di cose. Sono allla finestra e noto che sul davanzale c’è soltanto una delle mie due Timberland a sandalo, l’unico paio di scarpe che mi sono portato in vacanza insieme alle infradito di Mas (2 euro).

Uno dei due sandali della Timberland è volato di sotto nella notte, il vento soffia a raffiche violente sull’isola di Rodi. Sono assolutamente distrutto da questa cosa, ho perso uno dei miei sandali.

Li avevo messi sul davanzale la sera prima, sono fetenti e non volevo appestare l’aria della stanzetta.

Mi sporgo fuori dalla finestrella, ma non vedo nulla. E’ buio pesto e un albero frondoso mi copre la visuale, praticamente i rami entrano in stanza. Mi devo rassegnare, la scarpa è andata e devo aspettare domani mattina e la luce per sapere che fine ha fatto.

Non so nemmeno se la nostra stanza dà sulla strada o su un cortile interno ed è talmente buio che non si vede nulla. Dramma. Che cazzo me ne faccio di un sandalo soltanto, numero 40, della Timberland e puzzone?

Sveglio la Pina, condivido con lei il mio dramma, lei mi dice di calmarmi, fumo tre sigarette di seguito, mi leggo due racconti di Bukowski e poi verso le 4.00 spengo la luce.

Mi addormento e faccio questo sogno. Ci sono io che corro verso un campo di calcio. Dobbiamo giocare, all’improvviso, sono riuscito a convincere la squadra a presentarsi alla partita. Sono venuti tutti, nonostante lo scarso preavviso. E’ notte, il campo è coperto di neve, uno strato di almeno trenta centimetri. Per entrare negli spogliatoi dobbiamo scavalcare un cancello. Prima di farlo, lancio la mia borsa oltre le sbarre. Poi scavalco. Una volta di là, cerco dappertutto la borsa con la roba da calcio, che è finita sotto la neve che continua a cadere fittissima (c’è una bufera) ma non riesco a trovarla.

Stamattina appena sveglio racconto a Lee Mavros il problema della scarpa. Mentre prendiamo il caffè della prima colazione, lì nel giardinetto dello Spot hotel, arriva Lee Mavros e mi dice: “A gift from the hotel” e sorridendo mi restituisce il sandalo perduto. L’avrei baciato.

Ieri sera vagando per Rodi siamo finiti in una parte defilata della città vecchia, a sinistra del minareto. Ci siamo seduti in un bar per una birra (Elas) in una piazzetta deserta. Le facciate delle case distrutte e scrostate, con le persiane che gli mancavano delle assicelle e cadenti. Abbiamo fatto due foto, poi mi sono concentrato sulla partitella dei bambini del quartiere, in pieno svolgimento.

C’erano tre bambini, dopo un po’ si è aggiunto un quarto. Età compresa fra 5 e 8 anni. Campetto: il cemento della piazza, misto a ciottolato laterale verso il marciapiede. La porta (una sola) era fatta dalle due colonne di un’edicola in stile arabeggiante. In porta facevano i turni. Quelli in gioco se la passavano e poi cercavano sempre la conclusione ad effetto. Uno, lo chiamo Titti perché indossava una maglietta con una gigantografia di Titti, era grassissimo e giocava con i sandali. L’altro, si chiama il nano, giocava con le ciabatte proprio. Il terzo, lo chiamo Puma, perché era l’unico con le scarpe da ginnastica. La palla, un gommato da 250 grammi.

Il nano ci dava sempre e soltanto di tacco. Titti rideva sempre e prendeva gol da tutte le parti, un colabrodo in porta. Puma ci provava, senza gran successo. In porta, poi, c’era un gradino e quando la palla rimbalzava sul gradino, che alla fine era come se fosse la linea di porta, ma poi rimbalzava di nuovo in campo, comunque non era gol.

Intorno, anzi nel campo, c’erano le ragazzine del quartiere in bici che giravano e si inserivano a intermittenza nella partita in corso nella piazzetta. Le bambine cicliste erano elementi intermittenti della partita, come quando un piccione entra in campo e poi vola via, ma finché resta in campo anche lui, il piccione, può incidere sulla partita, se non altro perché magari vola in faccia ad un giocatore oppure devia la traiettoria del pallone.

Una delle bambine andava in mountain bike, avrà avuto otto anni. Un’altra andava in giro in monopattino. Sai, quei monopattini metallizzati, in titanio, ultra tecnologici. Il gioco delle bambine, che si svolgeva nello stesso spazio della partitella di calcio dei bambini, era che la bambina in monopattino inseguiva quella in bici e cercava di speronarla da dietro. A un certo punto, mentre Titti tirava una staffilata nel sette delle colonne arabeggianti dell’edicola, la bambina in monopattino è riuscita a tamponare quella in mountain bike e l’ha fatta volare in terra. Belin, ridevano. Un volo della madonna, ridevano.

Dopo un po’, quella in monopattino è volata da sola, si è sbucciata le ginocchia, però rideva lo stesso. Alla fine, dopo un po’ di tempo, quella in mountain bike è arrivata a piedi con un grappolone d’uva rossa succosissima e magnava ai quattro palmenti e doppiomenti.

In tutto questo, c’era un elemento estraneo, una bambinetta sui quattro anni con capelli lunghissimi che si aggirava come una mina vagante nel campetto-piazzetta. La bambinetta indossava jeans a culo basso ultimissima moda, scarpe da ginnastica bianche fosforescenti nel tacco, magliettina a maniche corte a fiori. Tra l’altro, si vedeva benissimo a occhio nudo che si era pisciata addosso, aveva un macchione enorme di piscio nei jeans ma continuava a gironzolare nel bel mezzo della partitella di Titti & co.

Nel bar dove bevevamo la birra servono dei calzoni fantastici. Mi sa che una sera di queste ci torniamo.

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02 settembre 2006

2 agosto, Aeroporto di Atene, 17.45


Stiamo aspettando l’aereo per Rodi. Siamo al gate 26 e c’è una seduta di fronte a me che legge Eva 3000. Non sapevo che esistesse, 3000, di gossip non me ne intendo mica tanto. In copertina c’è Muccino con la Canalis, lui è bianchissimo (ovviamente sono su qualche spiaggia caraibica).

A proposito della coppia Muccino-Canalis (lui romano borghese, lei sarda-milanese ex velina) ho letto l’altro giorno sul Corriere che non è una strana coppia (lui intellettuale, lei ex-Vieri) e che questo genere di legame trans-classista rientra in un nuovo trend in crescita, quello delle coppie vip che stanno insieme non per le “attitudes” (aspetti caratteriali comuni), ma per le stesse “activities”.

Lo scriveva la Rodotà, Luisa (la odio, preferisco di gran lunga Guia Soncini, una giornalista di costume denigrata da molti - soprattutto donne - ma che io, nelle pieghe dei femminili del nostro paese, che è l'Italia, considero la più promettente. Sarà perché una volta ha scritto un meraviglioso articolo: “Elogio della quarta misura”).

Tornando alle “activities” della coppia Muccino-Canalis, tento di immaginarmele: sesso, prendere il sole ai Caraibi, fare il bagno ai Caraibi, testimonial telefonici (ma mi sa che confondo i fratelli Muccino, Vodafone lui, di sicuro Canalis è Tim), palestra ecc. La tesi di Rodotà è chiara: i vip stanno insieme non perché abbiano qualcosa in comune in fatto di indole, ma perché frequentano gli stessi ambienti. In effetti, non ha molto senso pensare all’indole comune della coppia Muccino-Canalis quando possono condividere cose ben più importanti come testosterone, cibo, tivù, cinema, Caraibi ecc. Anche la pubblicità gioca un ruolo non secondario negli accoppiamenti vip.

Abbiamo appena bevuto il nostro primo caffè greco della vacanza, è uguale a quello turco, prima di bere lo devi lasciar decantare. Se no ti sembra di berti della sabbia. Le birre all’aeroporto di Atene sono grosse, più grandi di una media italiana, poi di bello c’è che si fuma ovunque. Alla barriera del gate ho chiesto alla security greca se mi dovevo sfilare la cintura, lì al metal detector, la donna ha risposto sorridendo: “No, non siamo mica a Gaza”.

Stamattina ci siamo svegliati alle 7.00, l’aereo per Atene partiva alle 10.40 da Fiumicino, siamo arrivati giusti. Sul treno (l’abbiamo preso alle 8.22) c’era il pienone. Due rumene in piedi accanto a me hanno urlato fra loro dall’inizio alla fine. Ero ancora un po’ rimbelinito di sonno, sveglia rumena stamattina.

Mi sono letto la cronaca dell’offensiva israeliana in Libano. I raid sono ripresi dopo la tregua, intanto in Italia via libera all’indulto. Stanotte non riuscivo a dormire. Alle 2.07 ho visto la rassegna stampa su Rete 4 e sulla Nuova Sardegna dicevano che ci sono due carceri sarde che con la storia dell’indulto hanno fatto uscire tutti i detenuti e allora stavano facendo un appello per trovare carcerati in prestito, sembrava un calcio mercato della prigione, magari sti secondini sardi avrebbero pure pagato per farsi mandare qualche galeotto lombardo.

A Fiumicino abbiamo comprato la Moleskine, ci sto scrivendo a mano adesso. E’ scomodissima. Però, di buono c’è che la penna almeno non sbava sulle pagine, anche se sono mancino e di solito sbavo di brutto quando scrivo a mano. Soprattutto con la stilo o con il tratto pen. A righe la Moleskine, costa 9 euro.

Stamattina a Fiumicino c’era uno che sembrava Bettarini. Sai, il marito – anzi ex – calciatore – anzi ex – della Ventura – anzi ex, quando non era tutta rifatta che ora sembra una mongolfiera di silicone. Che se si punge un labbro inizia a volare come un palloncino, dappertutto, un palloncino impazzito che si sgonfia.

Più che altro questo qua a Fiumicino sembrava “bettarinizzato”, che è diverso. Occhiali da sole al chiuso, fisicata, denti talmente bianchi che sembravano incapsulati dalla a alla zeta, delle capsule spaziali sembravano sti denti da Bettarini. Rideva sempre, sto qua, sembrava una sagoma di cartone, sguardo bovino. Ho pensato, chissà quanti aspiranti Bettarini ci sono in Italia. Poi ho smesso, siamo andati a fumare.

Ho letto su Leggo che la Ventura ha preso in affidamento una bambina di due anni. Faceva meglio a tenersi Bettarini, invece, così almeno magari non finiva in tivù e tutto il resto e la gente la smetteva di volersi bettarinizzare.

Al gate di Fiumicino c’era una con il pc portatile che navigava su Internet con la connessione wireless. Pestava sulla tastiera alle 10.00 di mattina, sembrava che stesse suonando un pianoforte, un Yamaha. Ci godeva proprio a navigare wireless lì al gate, prima di prendere l’aereo delle vacanze.

Di fianco il suo uomo, uno sborone tecnologico, sfoggiava il Blackberry manco fosse un oggetto cult anni ’50, chessò il portasigarette di Fraid Astair. E non contento urlava al cellulare, sai quello con le cuffie e gesticolava da seduto. Sembrava che parlasse nel vuoto. Come la prima volta che ho visto uno con le cuffie che parlava al cellulare per strada e urlava da solo e gesticolava camminando e ho pensato, mi sono perso qualcosa.

Sull’aereo, la mia vicina di sinistra aveva paura di volare, così ha chiuso il finestrino e urlava, ma forte, ogni volta che c’era un vuoto d’aria. Io cercavo di dormire, stanotte non riuscivo a chiudere occhio, dopo la rassegna stampa di Rete 4 mi sono fatto un drink di cachassa e ACE alle 4 di mattina. Poi, mi sono addormentato.

Fidel Castro ha abdicato, Mancino è il nuovo vice presidente del Csm, Prodi ha chiesto scusa per la fiducia sul decreto Bersani, grossi rami non potati coprono la segnaletica stradale al quartiere Prati, Madonna sta arrivando a Roma per il concerto del 6 agosto, all’aeroporto di Atene c’è almeno un bar dell’Autogrill e sui muri la pubblicità della Tim.

All’aeroporto di Fiumicino stamattina c’era una grossa novità: hanno aperto una sala fumatori vicino al gate numero 10. Così, fai il check in ma poi puoi passare il metal detector e fumi lo stesso. Siamo andati nella sala fumatori, c’era una nebbia che sembrava un normale giorno invernale a Binasco, o al campo di Sottocolle, quando la coltre è così fitta che se fai un lancio non vedi dove finisce il pallone. Che figata quando giochi a calcio con la neve che c’è la palla arancione, hai presente. I fumatori a Fiumicino erano tutti contenti che si può finalmente fumare ai gate. Qui ad Atene si fuma proprio dappertutto.

Stanotte non riuscivo a dormire per il caldo (nel letto sudavo e sentivo le gocce che mi entravano nelle saliere del collo) ma anche perché pensavo al viaggio a Cagliari del 16 agosto. Sono un po’ teso, vorrei rilassarmi, speriamo di riuscirci a Rodi.

Per ora, in viaggio, ho fatto due foto. La prima, io che fumo nella sala fumatori di Fiumicino; la seconda, io che fumo all’aeroporto di Atene, fuori, abbracciato ad una mucca multicolor. Una mucca statuaria, anzi una statua di mucca (vedi foto).

Stamattina a Fiumicino in coda c’era una ragazza scandinava molto carina, coda di cavallo biondissima, top aderente color malva, jeans aderenti al polpaccio, culo succoso, nel senso di grosso, bel seno (una quarta), pancetta sporgente, sandali anzi sabot, ciglia sottili da gatta, carrello con trolley Louis Vuitton e sacchetto Luigi Cavalli con dentro una pelliccia – credo non sintetica – di ghepardo che spuntava.

Sempre a Fiumicino, ho visto nell’ordine: un Materazzi (uomo adulto, con naso adunco, alto); un Zambrotta (uomo adulto, naso adunco, altissimo); un Grosso (bambino, non più di 5 anni, di origine nord europea). Il Bettarini l’avevo visto prima. La domanda è questa: come si fa a comprarsi, ma poi anche peggio, a mettersi addosso una maglia della nazionale, con la puzza che fa, è sintetico acrilico, il 2 agosto, che stai andando in vacanza?

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01 settembre 2006

A Roma da una settimana


Sono a Roma da una settimana, dopo un mese più o meno di vacanza, e non vedo l’ora di andarmene a Cagliari. A parte la Pina, le cose che non rimpiangerò della città sono, nell’ordine: le buche della madonna per strada, che se Veltroni avesse il motorino la smetterebbe di andare tutti i giorni nei campi nomadi perché lo ricoverano d’urgenza al reparto ortopedia del San Giovanni, con la colonna vertebrale frantumata a metà.

Però, pensandoci bene, magari Veltroni le vertebre non ce l’ha, boh, bisognerebbe vederlo in costume per verificare. Poi, non mi mancherà il portinaio di casa mia, via dello Statuto, sono quasi quattro anni che vivo lì e non mi saluta ancora. Alla mattina, è sempre sudato fracico che lava le scale. Io passo, perché devo andare al lavoro (non vado mica al mare) e lui borbotta sempre. Secondo me non vede l’ora che io esca per sfogarsi della mattinata di merda che ha passato a lavare le scale.

E’ uno di quei rosci, colori arancioni. Però d’estate se li rapa tipo Kojak. Parla con tutti, tranne con me. Si tacchina tutte le donne del palazzo, anche la cinese del sesto piano. L’ho beccato una volta che cercava di parlarle in romanesco, lei stava aspettando l’ascensore, gli sorrideva ma era ovvio che l’unica lingua che conosce è il mandarino. Sono salito a piedi, lui continuava a parlarle. Secondo me gli sto sulle palle perché prima di andare a vivere lì si tacchinava anche la Pina e adesso non può più farlo.

Per tre anni e mezzo le ha impedito di aggiungere il mio nome nella cassetta delle lettere e anche sul citofono, come se fossi un abusivo. Alla fine ha dovuto aggiungermi (sbagliando lo spelling del cognome) quando la Pina incazzata furente gli ha detto che ormai si era sposata e che semmai doveva togliere il suo di cognome e lasciare il mio, visto che le cose in Italia stanno così, siamo patriarcali, mica come in Finlandia, o come Prebene Larsen Elkjaer, il centravanti del Verona dello scudetto che aveva il doppio cognome di suo padre e di sua madre. Elkjaer era quello della madre, di cognome dico, se l’è tenuto perché è più bello.

Altre cose di Roma in sti giorni: oggi stavo superando un camion in via Nazionale, in discesa, quando sto camion inchioda all’improvviso. Allora inchiodo anche io. C’era un tizio alto un metro e novanta che così, bel bello, ha deciso di attraversare la strada lentissimo, fuori dalle strisce e tutto il resto, fottendosene altamente del traffico e del rischio della vita che stava correndo. Allora, sto qua, probabilmente un turista, a testa alta e petto in fuori, tutto gellato, capello linguette biondiccio, occhiale da sole a specchio, tiratissimo, incede lentissimo. Allora, il camionista di fianco a me gli urla: “aho, ma che te sei comprato la strada!!!!”. Poi, ci siamo guardati negli occhi e siamo scoppiati a ridere e sono ripartito.

Sono andato dalla solita tabaccaia di via dei Giubbonari, una stronza vera, ogni volta che ci vado parla al cellulare, è sempre al cellulare, io entro le chiedo: “un pacchetto di Fortuna”, lei ruota sullo sgabello, continua a parlare dei cazzi suoi (manicure, Fiesta, Fregane, Sir, la sua macchina, il suo uomo ecc.) e mi dà il pacchetto e il resto. Un po’ di volte ci sono andato con delle banconote da cento euro per metterla in difficoltà, ma lei impassibile apre al cassa, si mette il cellulare fra orecchia e collo, continua a farsi i cazzi suoi e ti dà il resto sempre perfetto. Penso che non mi abbia mai guardato negli occhi in quattro anni.

L’altro giorno a Piazza Vittorio ho letto un graffiti meraviglioso: avevano appena riverniciato il muro di giallo e il graffitaro aveva scritto a lettere maiuscole: “E’ INUTILE CHE RIVERNICI INTANTO TE RISCRIVO”. Sempre a piazza Vittorio c’è un altro graffiti che ci sono affezionato: “GOD IS BISEX”.

Ecco, magari sti due graffiti un po’ mi mancheranno a Cagliari, però per il resto ci sto dentro.

Oggi sono andato a prendermi la solita insalata da quella di via del Biscione e ci siamo fatti quattro chiacchiere. E’ magrissima lei, sui 35, piccolina, molto simpatica. Porta sempre un cappelletto da basket bordeaux alla rovescia, ha i capelli neri con la tintura bionda solo in un pezzo dei capelli. Oggi, le dicevo che mi sparavo un’insalata in vista di stasera che mi voglio sfondare di cibo, rideva, poi mi ha raccontato che è un’attrice che ha smesso di recitare da quando ha avuto sua figlia, che adesso fa la “mamma single” e che le manca soprattutto l’odore del palcoscenico. Era simpatica a raccontare, si vedeva che è un’attrice perché gesticola tutta quando parla, poi è magra perché faceva danza e ha il fisico di una ballerina. Poi, sono arrivati degli architetti svedesi nel locale prendevano le misure dappertutto, anche sul mio sgabello, pure nella mia insalata. Mi fa sempre pagare pochissimo, tipo 4 euro quando dovrei pagare sette e cose così. L’altra volta ha preparato le farfalle piccanti, con il mazzancolle, quando le ho detto che erano favolose, due euro. Belin.

Poi, mi hanno detto che da Pascucci, il frullataro più buono di Roma, ci è andata la banda del buco, che gli ha sfondato una parete quest’estate per entrare nella valigeria/pelletteria di fianco e che la signora era inviperita perché le hanno fatto saltare il pc e forse anche il forno a microonde. Mi devo informare meglio, mi sa che adesso vado a farmi un fragola/kiwi/limone.

Adesso a Roma c’è la campagna abbonamenti della Cisco, la ex Lodigiani, la nuova squadra di Di Canio, in C2, giocherà al Flaminio quest’anno. Dappertutto c’è il faccione di Di Canio per la promozione dell’abbonamento della Cisco – la prima volta che ho visto scritto Cisco su un muro, l’altra colta a fare la spesa pensavo che fosse la società di software, meno male che non l’ho detto a voce alta – il faccione di Di Canio con i denti serrati, hai presente quando ha fatto il segno romano tempo fa, povero Di Canio. Che l’altra volta, al bar, a colazione, mangiandomi un ventaglio, ho visto la foto di Di Canio con un vassoio di coppa in mano e di fianco la foto di Totti, con la coppa del mondo in testa. Foto affiancate. Didascalia: C’E’ COPPA…….E COPPA. Cazzata, però sai qua a Roma questo c’è, se no ti dico delle foto di Slberto Sordi e cose così, ma che due palle.

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