talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

20 marzo 2006

Terremotati


Stavo messo sul terrazzino a fumarmi una sigaretta, sporgevo tutto dal balcone con il busto di fuori, sembrava che mi volevo buttare di sotto, con la cicca infilata fra le labbra. Ma era tutta una finta, il balcone era un balcone vero, però messo a piano terra.

Quindi, se mi buttavo, al massimo mi prendevo una craniata nel prato. Però, me ne stavo lo stesso lì, sporgente dal balcone, facevo finta di essere al settimo piano, col vuoto sotto. Era una prova.

Una prova tecnica, come quando alla radio o a un concerto il dj o il cantante fanno “sa, sa, prova, prova microfono, prova, saaaa-saaaaa…” dentro al microfono per vedere se funziona. Anche per buttarsi, alla fine, è meglio se ti sporgi prima, così almeno sai com’è, se funziona tutto come il microfono, che poi quando sei online oppure sul palco davanti al pubblico, quello vero, se non ti funziona il microfono è una bella figura da babbo di minchia.

Allora, sono lì che fumo la mia sigaretta, sporgo dal balcone a pianterreno, fisso per un po’ una specie di termitaio, anzi erano formiche, che stanno trasportando pezzi di viveri nel loro alveare sotterraneo per l’inverno – le formiche sono animali con la testa sulle spalle, pensavo, mica come le cicale che al massimo vanno bene per Heather Parisi – quando decido di tornare a dormire.

E’ giorno fatto, però è prestissimo, saranno le sette di mattina, mi sono svegliato e come sempre sono stato colto da un attacco di tabagismo spinto, quindi mi sono alzato a fumare. Ma ormai ho finito, posso tornare a dormire.

E’ il 14 di agosto del 2003, sono a Lefkadas, un’isoletta greca, in vacanza da due settimane con Fionda, la mia ragazza. Domani finisce la festa e ci tocca tornare in Italia, a Roma, però ci siamo divertiti in Grecia, non credevo.

Torno a letto, abbiamo preso in affitto un piccolo appartamentino, a pian terreno. Siamo a Lefkadas, un’isola non troppo battuta dal turismo di massa, anche se non è vero, di gente ce n’è. Soprattutto svedesi e inglesi, italiani anche, stanno arrivando a frotte, domani è ferragosto. Torno a dormire, i letti sono separati, la Fionda sta dormendo profondamente, nel suo lettino di fianco al mio, che si trova più vicino alla finestra e al balcone dove ho appena fumato. Torno a letto, mi sdraio, poi non so perché, sono le sette di mattina, mi alzo e mi infilo nel lettino di Fionda. Forse ho freddo ai piedi, il sole fuori non scaldava ancora.

Mi infilo sotto al lenzuolo di Fionda che non sente niente, anche se nel sonno si allontana un po’, probabilemtne la sto surgelando, non penso sia troppo piacevole trovarsi all’improvviso un surgelato nel lettino mentre dormi in fase rem, magari stava sognando, però non si sveglia, si sposta soltanto verso il bordo del letto, dall’altra parte del lettino. Mi avvolgo nel lettino e inizio a pensare, ma poco, voglio dormire.

Ci svegliamo più tardi, verso le nove. Oggi è il nostro ultimo giorno di vacanza e vogliamo andare nella punta sud di Lefkadas, dove sulla guida la Fionda – la chiamo Fionda perché torna sempre indietro, come l’elastico della fionda, che lo so che forse sarebbe più appropriato chiamarla Boomerang, però già adesso che la chiamo Fionda in pubblico la gente mi guarda strano, poi guarda strano lei che mi risponde quando la chiamo Fionda, pensa cosa direbbe la gente se la chiamassi Boomerang – ha visto che c’è il famosissimo (?) scoglio di Saffo, cioè lo scoglio dove la mitologia greca, secondo il mito, che è una specie di Vangelo secondo Giovanni ma greco-pagano, dice che Saffo, la poetessa greca madre del lesbismo – infatti in Grecia un’isola l’hanno battezzata Lesbo in suo onore, ma dovrei controllare sul Rocci per vedere se è vero o se me lo sto inventando – insomma, più tardi vogliamo andare a visitare questo scoglio dove Saffo si è suicidata gettandosi dallo scoglio.

Si è suicidata per amore, forse amava Lesbo, non so, comunque amava un’altra donna e secondo il mito greco si è buttata da questo scoglio perché questo amore era andato male, non so cosa era successo, forse non era stato corrisposto e la povera Saffo si era buttata giù dallo scoglio, nella punta sud di Lefkadas. E adesso lo coglio di Saffo era nella guida turistica e noi oggi ci andiamo. C'è anche una bella spiaggia, dice la guida.

Sono sotto il lenzuolo con la Fionda, che in realtà si chiama Pina, la mia ragazza con cui sono in vacanza da ormai due settimane in quest’isoletta greca, si chiama Lefkadas, che l’abbiamo scelta un sabato mattina di luglio quando lei è riuscita a trascinarmi fuori dal letto per andare a prenotare il viaggio in due in motorino all’Eur, in un’agenzia di viaggi specializzata in viaggi ellenistici, no, in viaggi in isolette greche e ci hanno consigliato questa Lefkadas.

Che poi noi a Lefkadas ci siamo affittati un motorino, un cento di cilindrata con le ruote che sembrano copertoni di un camion, un motorino giallo che è un trattorino, va come un bulldozer, e ci siamo girati tutta l’isola, che è tutta in salita e discesa, sarà grande come l’isola d’Elba.

Che da quando ho saputo che Faletti scrive i suoi romanzi all’isola d’Elba un po’ non so come dirlo, mi sento diverso perché prima all’Elba non ci associavo Faletti e il Drive In, ma semmai mi venivano in mente dei weekend a base di bloody mary con il mio amico Gippy, che mi veniva a prendere a Follonica alla stazione, che lui arrivava da Genova in macchina e ci incontravamo lì, che io arrivavo da Roma. Poi, andavamo insieme all’Elba, ma adesso è diverso, sapendo che Faletti scrive lì è molto diverso. Non è più l’Elba di una volta, che magari una sera incontro Faletti in discoteca che firma autografi con il pizzetto e mi viene in mente Drive In.

Insomma, sono sdraiato lì nel lettino e si sono fatte ormai le sette e dieci. La Fionda ronfola beata nel regno di Nettuno e dei sogni, io sono bello pacifico che penso alla campagna acquisti della Samp, all’improvviso sento un rumore sordo che arriva da lontano. Una specie di enorme rutto, ma forse è una frana, poi, dopo un secondo, apro gli occhi e vedo l’armadio che trema. Ci metto un po’ a realizzare, io non vengo da una zona sismica - la Fionda invece è siciliana - quindi è soltanto dopo qualche secondo che mi rendo conto che sta arrivando il terremoto. Che sta arrivando di gran carriera, da lontano. Ma arrivare arriva, non ci piove.

Reagisce molto più veloce la Fionda, che in un batter d’occhio spalanca gli occhi e lucidissima mi urla: “scappiamo, c’è il terremoto!!!!”, intanto vedo le valigie vuote che cadono in terra dall’armadio e sento che trema il pavimento e il letto si sposta di traverso, in mezzo alla stanza e va a sbattere contro il mio lettino vuoto.

Dopo un tempo indefinibile, con l’abat jour rovesciata sul pavimento, in mezzo alle mutande e al costume che era volato dallo stipite della porta del bagno che nel frattempo si era chiusa sbattendo slatabam, mi alzo. Mi alzo con i tempi di reazione di un ippopotamo che stava prendendo il fresco nella savana, magari sull’amaca tirata fra due palme con i Ray Ban addosso e un drink sul tavolino di fianco, cioè molto ma molto in ritardo.

Oppure, più semplicemente, per chi conosce il calcio, dimostro i tempi di reazione di Agostino di Bartolomei, che buonanima era tutto fuorché rapido, però che castagna che c’aveva da fuori area. Oppure di Andrade. Oppure di Evaristo Beccalossi, l’uomo più lento di Milano negli anni ’70, che quando arrivava la metropolitana nel tempo che ci metteva a salire al Duomo la metro era già a San Babila. Lento, insomma, davvero di marmo, sembravo Tomas Skuravy fuori forma, Platinette che corre i cento metri. Insomma, ci siamo capiti.

Il terremoto è qui, il pavimento sta ballando il tagadà, il ciaciacià, batte le nacchere e intanto la Fionda urla sempre “scappa, il terremoto!!!!”, ma intanto lei non si alza.

Sono in piedi, in mutande, mi volto verso la finestra, la tenda bianca svolazza, c’è un vento forte che entra nella stanza. Poi, realizzo in un barlume di lucidità – come l’ippopotamo che alla fine si alza perché sta arrivando una tigraccia famelica che la sta per azzannare – che la Pina non si schioda. Torno sui miei passi e la sollevo di peso, intanto le urlo “Fionda, corri, che fai ancora sdraiata, dobbiamo uscire!!!!”. Intanto il pavimento è quasi di traverso e vedo nell’aria una specie di calce che si mischia alla trasparenza classica dell’aria. L’aria non è più aria, è aria terremotata.

All’improvviso, capisco perché la Fionda non vuole alzarsi, è nuda e si vergogna di uscire così. La tiro su di peso con il lenzuolo addosso, sembra la mummia di Tutan Kamon, con le braccia incrociate davanti al petto, sembra quasi dentro avvolta in un sudario la Pina durante il terremoto, e di peso la imbelino – la getto, in italiano –sul prato, oltre il balcone.

La lancio letteralmente nel termitaio, sul prato, che stavo guardando non più tardi di dieci minuti fa fumando, quando facevo le prove generali di lancio nel vuoto. Poi, scavalco, mi faccio un po’ male nel cemento del terrazzino, ma alla fine siamo fuori, la casa è in piedi, il terremoto sta svaporando. Alla fine passa. Torna il silenzio, ma aspetto un altro fragore, non so perché, me l'aspetto. Che non arriva. Non si sente più il rutto liberatorio della terra, soltanto gli uccelli che impazziti volano in cielo coprendo l’azzurro del cielo greco, questo grande azzurro che torna sereno come se niente fosse accaduto, mentre loro, gli uccelli, cacano nel blu e gracchiano terrorizzati.

Il cuore mi batte come quello di un fondista keniota sul rettilineo finale che sta per vincere le olimpiadi dei tremila siepi. Sono sudato come Maradona nella sua ultima partita, l’addio al calcio, che pesava centosette chili per un metro e sessantacinque di altezza (non si era ancora fatto tagliuzzare l'intestino). Non riesco a tenere ferma la mascella, si muove a scatti regolari, sto digrignando i denti.

Vedo la Pina in piedi, non si è fatta niente, soltanto una piccola sbucciatura al ginocchio, figlia del mio lancio del peso nel prato fuori dal terrazzino. E’ avvolta nel lenzuolo bianco, chiazzato di sporco – verde del prato, terriccio marroncino con qualche cadavere sparso di formica che ha ammazzato atterrando sul formicaio. Intanto osservo che le formiche continuano a raccogliere viveri per l’inverno come se niente fosse. Forse il terremoto non ha danneggiato le loro immense stive sotterranee, cantine ultra fornite con cui probabilmente tengono in piedi un mercato nero degli insetti che d’inverno sanno a chi rivolgersi, quando sono senza roba da mangiare. Soprattutto le cicale (belin, Heather Parisi che tipa che è, allegra). Che secondo me le formiche accettano soltanto i dollari in cash – ma sta bene, la Fionda. L’abbronzatura della settimana di sole e mare spicca sul candore leopardato e ormai compromesso del lenzuolo sporcato. “Sta bene”, penso.

Alzo lo sguardo e vedo il nuovo scenario, come il terremoto ha modificato il paesaggio. Un masso caduto dal soffitto del garage abusivo costruito in mezzo al prato – una struttura in calcestruzzo che serve da tettoia per le auto dei turisti – ha sfondato il cofano di una Bmw 740 targata Stuttgard. Un albero si è schiantato, un albero di ulivo, e giace riverso con i rami che sembrano le braccia di un fucilato, in mezzo alla strada, dove profonde crepe si sono aperte nell’asfalto già rovente per il sole alto.

Sono le sette e venti e mi sono inoltrato a piedi nudi sulla strada, le piante dei piedi bruciano.

La gente intanto si è riversata in massa per strada, lontano dalle pareti delle case, per paura di qualche crollo postumo. Un uomo in costume è rimasto con la schiuma da barba bianca cosparsa sul viso, non se l’è nemmeno tolta, si sta incrostando. Sulla guancia destra, parzialmente rasata, si vede un rivolo di sangue già essiccato. Si vede che la scossa lo ha colto nel momento del contropelo.

Il nostro trattorino giallo è per terra, il cavalletto non ha tenuto, e ora ostruisce il passaggio delle auto sulla carreggiata. Mi avvicino e lo sollevo. Di fianco c’è il camion dello spaccio, che si trova di fronte alla nostra casa, con tutte le angurie che sono volate dal carico. Si vede che stavano scaricando, quando il rutto della terra è sopraggiunto senza preavviso. Una striscia di succo rosso, sembra un rivolo di sangue, esce con lentezza da un cocomero aperto in due, sembra un ferito, infilandosi nelle fessure che si sono aperte sulla strada bituminosa.

I vasi sono tutti rovesciati, un misto di terra e fiori giace dappertutto nel cortiletto della casa. La gente si guarda in faccia e non dice nulla, ancora sotto shock. Di buono c’è che molte donne sono mezze nude, con le zizze di fuori, ma è un attimo. Poi, arrivano loro. I protagonisti.

Sono i nostri vicini di appartamento. Una coppia napoletana, arrivata lì appena ieri. Sono lì in viaggio d nozze. Lui, alto, un marcantonio scuro, forte e possente, avrà sui trent’anni. Lei, una donna fichissima, classico tipo mediterraneo, li abbiamo visti la sera prima sul terrazzino gemello, di fianco al nostro, ci chiedevano consiglio su dove andare, su quali spiagge vedere ecc.

La Pina aveva tirato fuori la guida e gli aveva fatto l’itinerario della luna di miele – Cefalonia che è lì di fronte, Skorpios, l’isola di Onassis, che è poco lontano e altre spiagge in particolare io dicevo Amoussa Bay, che mi ricorda la mussa, che chi è di Genova sa cosa vuol dire, e ovviamente un giorno siamo andati anche lì, la spiaggia della mussa, non me la perdevo per niente al mondo anche se al ritorno in motorino mi ha punto un’ape, che male, nell’inguine che stavamo per volare per terra - ben contenta di mettere la nostra esperienza al servizio dei novelli sposi.

Gli abbiamo anche offerto il caffè, agli sposi, che io le vivisezionavo il bikini, c’avrà avuto una quarta, che in vacanza ci eravamo portati la caffettiera e la moka.

Insomma, lei, la novella sposa, quando la terra ha cominciato a ruttare, è fuggita dal balcone senza aspettare il marito che è rimasto dentro solo e si è beccato una valigia sulla fronte. Gli usciva il sangue. Lei non si era voltata per vedere cosa gli era successo e dopo, quando ero sul prato, dopo, lei era senza reggiseno, mi aveva chiesto se potevo rientrare a vedere che fine aveva fatto suo marito.

Non aveva il coraggio di rientrare, aveva paura che arrivasse un’altra scossa di assestamento. Sono rientrato, ho visto il novello marito sdraiato nel letto, che guardava il soffitto, sotto al lenzuolo, perdeva sangue dalla fronte, e piano diceva “mi ha lasciato qua, non si è nemmeno voltata, come cazzo ci torno a Stuttgard con lei”. Rivolto al soffitto, parlava con il soffitto.

Ovviamente si stava riferendo a sua moglie, la sua novella sposa mediterranea fichissima, che ora stava fuori, con il cellulare in mano – quello aveva avuto tempo di raccattarlo prima di saltare dal balcone sul prato – e piangeva al telefono con sua madre a Napoli. La Bmw con il cofano sfondato era la sua, tra le altre cose. Un regalo d nozze del padre di lui.

Sono partiti in giornata, annullando il viaggio di nozze e tutto. Lo stesso hanno fatto quasi tutti gli italiani dell’isola, gli inglesi e gli svedesi invece sono rimasti. Intanto non ci sarebbe stato spazio sui traghetti per altrove. Le strade erano intasate di auto in fuga dal ferragosto. Noi, io Fionda, abbiamo rimesso in pedi il motorino e siamo andati lo stesso allo scoglio di Saffo.

Sulla strada c’erano un sacco di massi che erano franati durante la scossa, 5,3 della scala Richter. Non c’erano stai feriti, soltanto due scalatori, precipitati da un parete rocciosa a picco sul pare, e gli occupanti di un camper. Un masso gli era volato sul tetto mentre dormivano, erano rimasti intrappolati, ma niente di grave.

Non dimenticherò mai lo sguardo del marito napoletano alla novella sposa, che gli diceva “Antò, guarda un po’ se la macchina si mette in moto, che dobbiamo partire di qua, che io non ci resto manco morta”, con quel seno sodo a vista e la paura negli occhi bassi, la faccia dello scampato pericolo a nascondere la vergogna per la ferita del marito, che copriva di sangue incrostato il lenzuolo in cui era avvolto, pure lui, come la Fionda, sembrava una mummia di Kheope.

Quella notte io e lei siamo rimasti a dormire su una sdraio in riva al mare. La gente, tutta la gente era rimasta all’aperto quella notte, la notte del terremoto. Niente effetto tsunami, soltanto qualche piccola scossa di assestamento. Poi, il giorno dopo, siamo tornati nel nostro appartamento a pian terreno, abbiamo rifatto i bagagli, Fionda mi aspettava fuori che anche lei c’aveva la paranoia di nuove scosse, e siamo partiti per il porto di Igumenitsa, un posto schifoso peggio di Cornigliano, e abbiamo preso il primo posto ponte disponibile per tornare in Italia. Meno male che il terremoto è arrivato il giorno prima del nostro ritorno.

3 Comments:

At 11:07 AM, Anonymous Anonimo said...

Ciao Paolo...
grande idea quella del blog. Io sono ancora sotto tesi, ci vediamo presto.
Sara

 
At 11:17 AM, Blogger talentaccio said...

grazie sara, spero che verrai al corso, a presto, paolo.

 
At 1:13 PM, Anonymous Anonimo said...

Bravo Paolo (oppure bravo questo tuo amico Raffo?)? nononono bravo Paolo che hai preso questa bella iniziativa!
Adesso sì che potrai sfogarti alla grande, no? sono contenta per te. E' carina l'idea ... può crescere, credo.
baci
Nic.

 

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