talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

25 marzo 2006

Gianni il lavapiatti


Il protagonista di questa storia è un uomo che di domenica mattina lava i piatti. L’uomo si chiama Gianni e lavare i piatti gli piace. Lo rilassa. I suoi amici, scherzandolo un po’, lo hanno soprannominato “il lavapiatti”, perché quando lo invitano a cena a casa loro, dopo mangiato, si mette in cucina e fa i piatti. Fa i piatti anche se c’è la lavastoviglie.

A volte, per non deludere i suoi amici che c'hanno la lavastoviglie, Gianni lava i piatti a mano e poi li infila in lavastoviglie. Questa cosa del doppio lavaggio – prima a mano, come piace a lui, poi in lavastoviglie, come piace a loro – Gianni “il lavapiatti” la fa di solito anche quando lo invitano a casa di conoscenti. I conoscenti, più degli amici intimi, si stupiscono un po’ di questo bizzarro comportamento. E' strano vedere un invitato che non conoscono troppo bene che dopo cena chiede il permesso di lavare i piatti a mano, anche se c’è la lavastoviglie.

Ma non c’è abbastanza confidenza con quel bizzarro conoscente per impedirgli di entrare in cucina e fare i piatti a mano. Di solito, a tavola, quando Gianni è di là in cucina che lava i piatti, questi conoscenti parlano di lui. Di solito sono un po’ straniti. Però alla fine concludono contento lui contenti tutti. Gianni fa i piatti a casa di questi conoscenti, poi li mette in lavastoviglie per non deludere il proprietario di questo elettrodomestico, saluta e torna a casa avendo ringraziato per l’invito a cena.

E’ domenica mattina e Gianni il lavapiatti è in piedi di fronte al lavello di casa. E’ pronto per entrare in azione, saranno le otto. A quell’ora molta gente nel palazzo starà ancora dormendo. Di solito, la gente alle otto di domenica mattina dorme, se non ha qualche impegno urgente. Ma Gianni è mattiniero, nel lavello c’è una montagna di piatti da lavare e lui è felice.

Il lavapiatti è felice perché si appresta a fare quello che sa fare, lavare i piatti a mano. Intanto pensa al caos e sorride sotto i baffi, mentre l’acqua tiepida gli bagna le mani.

Gianni prende il flacone di Nelsen, è mezzo vuoto, prima di regolare la temperatura dell’acqua svita il tappo, poi riempie il flacone per tre quarti. Lo agita un po’. Sembra il barman del Liquid, che sta shackerando un cocktail dietro al bancone, mentre chiacchiera amabilmente con i clienti del sabato sera.

E’ un trucco. Quando il Nelsen è agli sgoccioli, Gianni prende il flacone, lo apre e diluisce il sapone superstite con dell’acqua corrente. Così, il liquido sgrassante si diluisce un po', ma funziona lo stesso. Così, il lavapiatti ha l’impressione di aver fatto una furbata, si sente un furbacchione, ed è contento così. Nel frattempo pensa che nel pomeriggio dovrà andare a fare scorte di Nelsen. Il trucco del barman non dura per sempre. E’ un espediente che può andare per due o tre lavaggi extra, poi non c’è più sgrassante, soltanto acqua tiepida.

Il lavapiatti regola la temperatura dell’acqua, tiepida, prende la spugnetta rossa, ruvida, raccoglie il primo piatto e comincia a strofinare. Strofina con rapidi gesti concentrici, sembra Karate Kid che lava il cofano della macchina - metti la cera, togli la cera - partendo dal centro del piatto sporco allargandosi lentamente verso il bordo di ceramica. Poi, volta il piatto, attento a non farlo cadere, e compie la stessa operazione sull’altro lato del piatto, che è tutto unto perché giace da un paio di giorni appoggiato sul piatto della pila sporca.

A volte, il lavapiatti accende la radio che c’è sul mobile di cucina lì di fianco al forno a microonde, un Whirlpool jet system ribattezzato “il catafalco” perché da mesi sta lì, sul mobile di cucina, mai usato, con la spina staccata. Alla presa della corrente al posto del forno a microonde è collegata la radio. Ma quella domenica mattina la radio è spenta. Gianni detto il lavapiatti dai suoi amici più intimi preferisce il silenzio. E' concentrato sul caos.

Quando pensa al caos Gianni lava i piatti. Lì, davanti al lavello con l’acqua tiepida che scorre, è un momento molto adatto per pensare al caos. Lui, il caos e i suoi piatti da lavare belli unti e bisunti, impilati nel lavello di cucina la domenica mattina. Questo è il quadretto.

Il primo piatto è tutto bello insaponato. Gianni risciacqua con cura, le ante dello scolapiatti sono aperte di fronte alla sua faccia, pronte per la fase due: inserire il piatto lavato dai muscoli di Mastro Lindo a sgocciolare la risciacquatura del detersivo sgrassante diluito in precedenza.

L’acqua del rubinetto scorre placida e tiepida. All’improvviso una scheggia di caos inattesa lo colpisce in fronte. C’è un problema nella fase di risciacquo. La pentola sporca della pasta, in fondo alla pila di piatti da lavare, ostruisce il buco di scarico del lavello. L’acqua del risciacquo non scorre nel tubo, non defluisce là sotto, nei tubi invisibili che portano l'acqua al mare. Il livello dell’acqua nel lavello si sta rapidamente alzando.

Il pelo dell’acqua ha già coperto le posate e le tazzine di caffè. Gianni le vede e conta: sette cucchiaini e nove fra forchette e coltelli che giacciono sott’acqua; quattro tazzine di vetro, sul fondo del lavello in acciaio inox, sembrano la statua di Gesù sul fondo del mare al largo di San Fruttoso vicino a Camogli, che con la maschera la vedi benissimo. La pentola sporge ancora per metà di fuori. Sembra il campanile della chiesa che sporge da quel lago in sud Tirolo, ricordo di pietra di un allagamento che decenni prima aveva immerso per sempre quel villaggio alpino sotto l’acqua lacustre. Là sotto al lago tirolese ci sono ancora le case del villaggio coperte di alghe, il campanile invece sporge ancora.

I piatti e le stoviglie da lavare sono troppi nel lavello. Il lavapiatti è costretto a chiudere il rubinetto per evitare che l’acqua superi il bordo del lavello bagnando così il pavimento della cucina. Il lavapiatti è costretto a modificare il suo rituale, che di solito vede l’acqua tiepida sempre in movimento mentre lui insapona e risciacqua le stoviglie sporche. Gianni deve interrompere la consueta liturgia, costretto a spezzare in due le fasi di lavaggio, anzi in tre. Prima bagna i piatti incrostati di sugo, con un rapido spruzzo d’acqua. Poi li insapona con la spugnetta rossa ruvida. Alla fine li risciacqua, con il minimo sindacale d'acqua, per evitare che il lavello non esondi.

Se tiene l’acqua aperta quando è inutile, il lavapiatti rischia di causare una tracimazione e lui non vuole che l’acqua tracimi, come spesso capita a Genova, quando piove troppo, e il Bisagno si gonfia, superando gli argini e invadendo le strade del quartiere di Marassi. Si sa, quando un torrente tracima è peggio di un fiume, perché il greto del torrente è più stretto e se l’acqua non ci sta più dentro l'ondata è più violenta.

Risolta con un pizzico di intelligenza questa improvvisa scheggia di caos, Gianni si gasa di se stesso e pensa quanto sono intelligente, intanto continua a pensare ad altre schegge di caos domestico che ha risolto con astuzia. Pensa che sarebbe davvero bello trovare un espediente per fare con il tubetto del dentifricio la stessa operazione che fa di solito con il flacone del Nelsen quando è agli sgoccioli. Ma il tubetto di dentifricio non lo puoi diluire con niente.

L’unico trucco che Gianni conosce per prolungare il tempo di vita del Mentadent è quello di appoggiare il tubetto quasi finito al bordo del lavandino del bagno, facendo scorrere sul marmo del bordo del lavandino la confezione di plastica, creando così una pressione interna, che raccoglie la parte residuale di dentifricio ancora appiccicata alle pareti interne del tubetto, spingendo la pasta dentifricia verso il foro d’uscita.

Con questo piccolo espediente Gianni il lavapiatti ci ricava due o tre lavaggi dentali extra, quando il tubetto di dentifricio sembra finito ma in realtà non lo è, perché dentro, sulle pareti, c’è ancora della pasta del Capitano soltanto quando non c'era il Mentadent al supermarket. Basta pressarla, la pasta, in questo modo, che esce. Ma spingendo normalmente non esce niente, per questo bisogna far scorrere il tubetto contro il marmo del lavandino del bagno e creare la pressione usando l'astuzia, perché con le mani hai voglia a schiacciare, puoi morire che non viene fuori niente. Gianni lo sa.

Lo stesso espediente del Mentadent vale anche per i tubetti di crema – soprattutto la crema per mani, che il lavapiatti consuma a chilate, perché con tutti quei lavaggi di piatti se le screpola sempre, le mani, e ha bisogno di un po’ di Sos Glisolid se no le mani gli diventano ruvide come la spugnetta rossa e screpolate e seghettate e sembrano incartapecorite – e soprattutto, dulcis in fundo, il metodo del Mentadent è perfetto per il tubetto del gel per capelli.

In realtà, per raschiare le pareti interne del gel per capelli Gianni usa un altro espediente. Quando la pressione delle mani non basta più per far uscire il gel, il lavapiatti taglia in due con le forbici il tubetto, che di solito è poggiato in veticale perché la gelatina, rispettando da brava bambina ubbidiente le regole newtoniane della forza di gravità, sia già il più colata possibile verso il foro d'uscita.

Tra l’altro, rispetto alla pasta dentifricia, è più facile controllare se c’è ancora del gel nel tubetto, perché la confezione è trasparente, quindi è semplice vedere se c’è ancora del gel dentro, che si rifiuta di uscire con la semplice pressione delle mani. Basta tagliare in due la confezione di plastica e a ditate prendere la massa di gel che resta appiccicata sulle pareti e spalmarsela normalmente scolpendo così i tuoi capelli, come vuoi tu. Gianni il gel lo usa raramente, perché porta i capelli corti, però quando ce li ha un po’ più lunghi lo usa, il gel, che però poi si impiastriccia tutto nel casco quando va in motorino. Per questo il fondo del suo casco è pieno di schifezze atmosferiche che si appiccicano lì, perché il gel checché se ne dica, è colloso.

Con questi espedienti, il bagno di Gianni il lavapiatti è pieno di cadaveri di confezioni di gel aperte in due con le forbici, in attesa che lui a ditate ne prenda un po’ per impiastricciarsi i capelli. Ma questo succede di rado, perché Gianni non lo usa quasi mai, il gel, perché porta i capelli corti. Quindi, il bagno di Gianni il lavapiatti sembra un cimitero di confezioni di gel, tagliate in due a metà, con il gel che si secca dentro, all’aria aperta e inutilizzato, che a volte dei moscerini per sbaglio ci restano dentro incollati e muoiono nel gel. Così imparano a non restare in cucina sopra ai mandarini, i moscerini. Questi tubetti di gel aperti sono inutilizzati come il catafalco in cucina. Contenti loro, contenti tutti, come direbbero i conoscenti di Gianni il lavapiatti riferito ai moscerini.

Gianni sta risciacquando la pentola della pasta, lì in fondo al lavello. L’acqua della risciacquatura torna a defluire libera nel tubo. Il lavapiatti sente con soddisfazione il rutto del gorgo che si sblocca e vede abbassarsi il livello dell’acqua, che senza il suo intervento risolutivo di modifica della prassi lavatoria rischiava di finire sul pavimento della cucina. Intanto pensa al caos.

Un’altra scheggia di caos lo coglie all’improvviso, mentre un bicchiere rischia di scivolargli dalle mani. Una scheggia di caos che lo ributta indietro, ai tempi dell’infanzia.

Gianni ha dieci anni, è con suo fratello Leo di otto anni. Sono all’aeroporto di Genova Voltri, con la madre. Stanno per imbarcarsi per Stoccolma, dove ogni estate trascorrono due mesi delle loro vacanze estive nella casa di campagna dei nonni materni, a mezz’ora di autobus da Stoccolma, in una casetta di legno a spioventi marrone e rossa con un cancello verde, immersa in un bosco di betulle. Immersi nelle betulle, Gianni e Leo passano l’estate raccogliendo mirtilli nel secchiello e facendo lunghi bagni nel lago di acqua dolce, dove si galleggia meno che al mare di San Giuliano a Genova.

Gianni insapona l’ultimo piatto, intanto pensa a quella volta che lui e suo fratello Leo sono seduti nella casetta di campagna dei nonni, a mezz’ora da Stoccolma, lui ha dieci anni e Leo ne ha otto. Stanno giocando a canasta, seduti in veranda. Al tavolo ci sono anche la nonna dei due e Tante Tyra, un’amica ottantatreenne della nonna. Tante Tyra è famosa perché quando gioca a canasta bara sempre. Bara anche adesso, che gioca in coppia con Leo. Tutto il tempo della partita Tante Tyra lancia segnali a Leo, strizzandogli l’occhio, spostando da destra a sinistra il contenitore di caramelle. Ad ogni segnale corrisponde una certa strategia.

Gianni e la nonna sanno benissimo che Tante Tyra bara a canasta, Leo sa benissimo che la nonna e suo fratello sanno che la partita è truccata. Il divertimento è proprio quello, osservare Tante Tyra che bara. Gianni e la nonna perdono apposta, Tante Tyra non sopporta le sconfitte, in fondo ha ottantatre anni e se non sai perdere a quell'età è meglio se ti lasciano vincere a canasta.

Gianni sta per calare una carta, quando in veranda entra una scheggia inattesa di caos. Un passero piomba all’interno della veranda, per errore si è lanciato in volo dentro alla veranda, dall’unica parete aperta. Per errore, il passero si schianta a tutta velocità contro il vetro della parete di fronte, alle spalle di Tante Tyra. Le pareti vetrate che danno sul prato dei mirtilli sono tre.

Tante Tyra, che bara sempre quando gioca a canasta, caccia un urlo di spavento. Il passero pigola, si è fatto male ad un’ala, però continua a volare e a sbattere contro le altre pareti di vetro. Non trova l’uscita. I giocatori sono imbambolati da quell’improvvisa scheggia di caos piombata in veranda. La madre di Gianni e Leo, con un sangue freddo che i due figli non le conoscevano, arriva in veranda con la scopa in mano. Dopo qualche tentativo fallito riesce a sospingere il passero verso l’uscita. I quattro giocatori si alzano dal tavolo della canasta e in piedi accanto alla madre con la scopa in mano osservano il passero che riprende il volo, un po’ a zig zag, sembra ubriaco.

Intanto, fuori di fianco alla veranda, il vecchio nonno dei due bambini, il vecchio di settantasei anni con le orecchie più a sventola del Nord Europa, che in passato era stato l’amante decennale di Tante Tyra, non si è accorto di nulla. E’ seduto là fuori, beve un bicchiere di succo di ribes raccolti dalla nonna nel cespuglio che si trova sul retro della loro casetta di campagna; ascolta la musica alla radio in attesa delle previsioni del tempo, intanto oscilla a ritmo di jazz sul dondolo all’ombra, mentre si accende l’ennesima Prince della sua vita fatta di troppo lavoro, troppo alcol e macchiata dal tabagismo come la sua camicia bianca lo è di succo di ribes.