talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

25 giugno 2006

Due birre


Il tatuato sorride al suo amico, sembra un maori del Testaccio con quelle braccia nere di china fin sopra alle mani. Sono seduti al tavolino, con due birre gelate di fronte, non si vedono da tempo. L’amico porta basettoni larghissimi e le Clark, anche se ci sono almeno 35 gradi. Di sicuro gli stanno sudando i piedi e non poco.

“Hai perso un bel po’ di chili dall’ultima volta”, dice quello con i basettoni al tatuato. “Sai, dormo poco. Lavoro tanto, mi vedo con la tipa”, risponde il maori, che porta i capelli neri lunghi raccolti in un codino rafforzato da chignon, è tatuato anche sul collo, gli spuntano delle squame di drago da dietro le orecchie. “Eh sì, la fica ti asciuga. E’ meglio del weight watchers”, dice sognante il basettone, che brinda alla salute del maori.

Di fianco due napoletani sono svaccati al tavolino, mentre sfogliano riviste di gossip. A pagina 35 quello con gli occhiali scuri, canotta e pantaloni di lino neri con catena per portafogli nel tascone destro, infradito colorate con scritto surfing time sulla pianta, è scalzo e ci gioca, dice “ecco, guarda che fregna, hai visto? Come sono venuto in foto?”. L’altro guarda ammirato, dice “bene, bene”, mentre quello vestito di nero si tocca i rotoli di ciccia sulla pancia e dice che deve fare un po’ di moto che ormai è arrivata l’estate.

Il grosso boxer del bar trotterella fra i tavolini come fosse il cameriere, ci manca solo che prenda le ordinazioni mentre piazza una linguata sulle caviglie depilate di fresco della turista americana seduta di schiena. Ha le alette sporgenti, l’americana, sembrano piccole montagnette che si alzano e si abbassano al ritmo di parole rapide, rivolte alla tavolata di amiche. Stanno bevendo da una bottiglia di bianco tenuta in fresco, sembra champagne ma è vino. Bevono e ridono, sono tutte depilate di fresco, canotta colorata, schiena di fuori, gambe bianche con puntini rossi da depilazione. Spettegolano parlando di uomini e ridono.

Quella con le alette, le squilla il cellulare. Lo guarda, lascia squillare cinque o sei volte, mentre si consulta con le altre: “oh, my god, it’s him, should I or not?”. E’ un referendum, vince il sì. Risponde tutta paracula, parla per venti minuti, alla fine fa il report alle altre che ridono e si dimenano sul ferro battuto delle sedie, di certo hanno segni metallici quadrangolari sulle cosce sudate, che aderiscono al sedile dove poggiano le loro tenere masse adipose.

Il boxer del bar annusa il piccolo cagnolino al guinzaglio della ragazza con i pantaloni al ginocchio e le ballerine, che sfoggia il suo ragazzo alto un metro e ottantadue con un certo timore che una a caso delle americane se lo punti e se lo porti via. Si siedono lontano, così non c'è il rischio di sguardi incorciati, che "non si sa mai, queste turiste", pensa la ragazza alla zuava.

Una donna di mezza età beve un tè freddo e legge la Repubblica, senza guardarsi intorno. Arriva una coppia, la donna cavallina di vent’anni più giovane, si siedono, lui si liscia la barba grigia scegliendo il suo cocktail. Il tatuato le guarda il culo prima che si sieda. Il basettone si liscia i capelli sporchi.

I camerieri fumano attaccati al muro e parlano della partita, anche le donne. Un vecchio si china per bere alla fontanella ma chiude male il foro da sotto con la mano e lo zampillo d’acqua arriva moscio dal basso in alto. E’ uno schizzo pigro ma lui fa finta di niente, si è bagnato tutte le scarpe e non ha bevuto quasi nulla. Se ne va così, assetato. Un bambino subentra, con naturalezza riempie una lattina vuota di Fanta e torna ai gradini della fontana, dove un ragazzo sta schizzando apposta la fidanzata seduta sui gradini, che la prende bene. In fondo sono in vacanza. L’acqua raggiunge il banchetto di AN che spinge la gente a votare SI’, lavando un po’ di volantini. Nessuno reagisce.

Guardo le alette dell’americana che si agitano, sembrano dune di sabbia che si alzano e si spostano con il vento, ma l’aria è ferma e penso alla mostra di Modigliani, chissà se le sue donne con il collo lungo e la faccia ovale hanno belle schiene, le dipingeva sempre di faccia, con un occhio aperto e l’altro rivolto all’interno. Come se uno potesse chiudere le pupille con la saracinesca o rivoltarle verso l’interno, per guardare cosa c’è dentro, ma nei quadri si può fare è questo il bello dei quadri, che puoi dipingere quello che vuoi e nessuno ti dice niente, non sono mica fotografie.

Arriva la mia seconda birra, pago, sono le sei e venticinque, il pallone finisce nella fontana, il papà lo raccoglie, i bambini continuano a giocare a palla avvelenata, colpendo una donna con i sacchi della spesa che non dice niente. Il fascio di luce si sposta, il tatuato si mette all’ombra, il vino delle americane è finito ma resta vuoto, un cadavere inutile nel ghiaccio sciolto del secchiello da champagne. La ragazza alla zuava se ne va con il suo metro e ottantadue di preoccupazioni tutte per lei, che porta le ballerine e si muove leggera sui sampietrini della piazza. Hanno un appuntamento e si è fatto tardi.

La donna di mezza età legge avidamente la Repubblica, sta a pagina quattro, c’è la foto della Gregoraci con il cellulare in mano, “ero consenziente” c’è scritto nell’occhiello, la donna dà un sorso al San Bitter e passa oltre, c’è la foto di Padoa-Schioppa, c’è scritto "austerity" nell’occhiello, dall’altro lato della piazza arriva una del quartiere, è tutta agghindata con la schiena di fuori, senza alette, le si incastra un tacco sul selciato, si muove piano per non romperlo e va avanti per la sua strada.

Vedo la gente che passa e si materializzano le rotaie su cui viaggiano i loro pattini a rotelle, incastrati come carrellini ai loro percorsi fatti di linee e traiettorie, hanno tutti il navigatore acceso, satellitare, sanno dove vanno e perché ci stanno andando, mentre bevo la mia birra penso che vorrei avercele anche io le rotaie dove scivolare pigramente, che forse è soltanto una questione di olio per non sentire questi cigolii nella testa, forse ho i pattini vecchi e mi dovrei semplicemente comprare dei roller blade monorotaia, così come d’incanto mi potrei trovare in tasca un navigatore pure io e vedrei le rotaie e mi potrei sedere sul mio carrellino e andare in discesa con il pilota automatico.

Poi mi prendo la pupilla con due dita e la rivolto in fuori, verso la piazza, da due giorni andavo in giro con l’occhio, quello destro, rivolto verso l’interno, ma non sono mica un quadro di Modigliani io, sono uno in carne ed ossa e se guardi troppo dentro non vedi più dove metti i piedi e rischi di non accorgerti delle rotaie di qualcuno, che ti mette sotto con il suo carrellino che va avanti senza fermarsi alla stazione, perché sa già dove deve arrivare anche se la schiena è scoperta.

“Eh sì la fica è meglio della palestra, ti fa venire il culo sodo”, dice quello con i basettoni attaccando la seconda birra mentre il maori si liscia la barbetta, ha un’aria vagamente tailandese ma è del Testaccio, l’ho sentito che parlava al cellulare con la sua donna, la sua cyclette personale, lo aspettava più tardi per un incontro ginnico dopo l’aperitivo.

I napoletani se ne sono andati con la loro mazzetta di riviste di gossip, non li ho visti alzare i tacchi, hanno bevuto un analcolico alla frutta, come si fa a bere un analcolico alla frutta me lo domanderò sempre, allora è meglio che te ne stai a casa, come quelli che ordinano la scamorza al ristorante, alla griglia, ma quella guarda che te la puoi preparare anche da solo a casa. Oppure quelli che ordinano l’uovo fritto con gli asparagi, al ristorante, ma fatti una bella carbonara, se no restatene a casa, te e la tua insalata verde senza pomodorini.

Le americane sono sempre lì che trincano vino bianco con le loro schiene nude e le loro gambe depilate, una si è levata la scarpa e tiene il piede sulla sedia, si sta controllando lo smalto delle dita, tutto ok, può tornare ad ascoltare il dettagliato resoconto di quella con le alette sporgenti, sembrano pezzi di manzo attaccati lì con lo sputo, che racconta della sua lunga chiacchierata galante squittendo come un pipistrello al buio in qualche pertugio sottoterra, nelle catacombe dove sono stato l’altra volta, c’era freddissimo, abbiamo preso una torcia, ma dentro i loculi c’erano queste ossa e poi sono spuntati i pipistrelli, sembravano arrabbiati, li abbiamo svegliati.

La piazza è nell’ombra, finalmente il sole è calato, l’acqua della fontana continua a gettarsi nella vasca, sembra un tuffo a soldatino, smontano il banchetto di AN, mi chiama mia madre e parliamo un po’. Mi dice “hai visto che il principe di Savoia l’hanno beccato con una in quell’albergone, ci siamo stati il mese scorso, dai, sul lago di Lecco”. Ripenso al ricevimento, mi viene da ridere, le dico “sì ho visto, come stai?”. Non l’ascolto mentre risponde, la sento alla fine che mi dice “stai bevendo una birra?”, le dico “sì”. “Bravo rilassati”, mi dice mia madre, che mi sembra tutta fiera di conoscere questo albergone sul lago. Si sente più importante perché può raccontare alle amiche che lei ci è stata, nel posto dove hanno beccato il principe di Savoia con le mani nel sacco anzi nelle mutande di qualche optional con le gambe depilate.

Saluto mia madre, la donna di mezza età che legge Repubblica è arrivata alle pagine sportive e si immerge nella lettura. La ragazza con i denti cavallini e l’uomo di mezza età sta bevendo il suo prosecco quotidiano, porta i Persol scuri dell’altra volta, quando ride sembra Varenne che corre sul rettilineo finale del galoppatoio di San Siro. L’uomo di mezza età si guarda intorno, sembra preoccupato che lo vedano, ma in realtà sta cercando di guardare le cosce dell’americana senza scarpa e lo smalto rosso, ha messo di nuovo il piede sulla sedia e si vede la coscia liscia bersagliata dalla cellulite.

Sono in motorino, fermo al semaforo. E’ rosso. Lei da dietro si trastulla con lo straterello di ciccia sulla mia pancia. La sento che ridacchia da sola, ho le mani sul manubrio. Mi volto ridendo, sento che prende i rotoli di ciccia e ci giochicchia, incrocio lo sguardo con il tizio in vespa, di fianco a me, che mi guarda e annuendo con la testa infilata nel casco spagnolo ride. Fa segno di sì, “quanto ti capisco”, sembra che mi dica, dietro c’è la sua donna che ride anche lei. Diventa verde.