talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

23 giugno 2006

Inno alla cipolla


Oggi a pausa pranzo mi sono fatto un’insalata greca. E’ arrivato il tizio del bar Valle, ci vado spesso, mi ha detto “se vuoi oggi ho fatto la greca”, di solito prendo quella con l’uovo sodo e il tonno. Gli ho detto sì, prendo la greca che quest’estate vado in Grecia. Di fianco sono arrivate delle ragazze. Parlavano fra loro, fanno roccia.

In realtà, non ho capito bene se fanno roccia per davvero o per finta, sulle pareti di plastica. In ogni caso arrampicano. Parlavano della palestra di roccia, quindi probabilmente la parete è finta. Una diceva che si sente i muscoli pi sodi da quando fa roccia. Che si sente più in forma, anche se magari non si vede. Quando diceva sodo, lo diceva con la o strettissima, tipo sòdo, si vede che è di Torino.

Poi, è arrivata la mia greca. Era stracolma di cipolle crude. Buonissime. A me della greca mi piace da morire la feta, da morire le cipolle, abbastanza le olive nere, pochissimo i cetrioli. Però non sono di quelli che si mettono lì a separare gli ingredienti, a lasciare di lato le cose che non gli piacciono. Mangio tutto.

In questo periodo a pausa pranzo ci vado spesso al bar Valle. Prendo sempre l’insalata, un’acqua naturale in bottiglietta e un caffè. Cinque euro e ottantacinque.

Sta squillando il cellulare del mio dirimpettaio, l’ha lasciato qua, ora è giù a farsi un caffè. C’è un caldo che si cola. Ha una suoneria che fa così: “Hello, moto….”, poi comincia a suonare multimediale. La odio. Ha smesso.

A pausa pranzo prendo sempre un’insalata così poi la sera posso mangiare come un cesso senza problemi e c’ho anche più fame. C’è una sfida in corso fra me e l’insalata a mezzogiorno in questo bar dove non devo nemmeno aprire bocca, lo sa benissimo il tipo che prendo sempre le stesse cose, e mi piace questo fatto che posso stare zitto, a pausa pranzo.

La greca è un’eccezione. Comunque, la sfida è che non devo aiutarmi con il pane per mangiare l’insalata. Il patto tacito con l’insalata del valle è che non sfioro il pane. Il problema è che senza pane mi cadono sempre i pezzi dal piatto. Mi trasbordano le olive dal piatto. Non ci stanno dentro, anche perché un altro pezzo della sfida è che non mi aiuto nemmeno con il coltello, mangio soltanto con la forchetta. A volte, l’insalata la infilzo, altre la raccolgo con la forchetta. Però, ogni volta qualcosa non ci sta dentro e trasborda dal piatto. Allora, la recupero o infilzando i fuoriusciti con la forchetta oppure raccogliendola direttamente con le mani, soprattutto se sono olive.

Oggi mi sono schizzato l’olio sui pantaloni, ma non è grave perché erano già macchiati di nero, nell’altra parte della coscia, vicino alle tasche. Ieri sono rimasto incastrato in mezzo a due porte automatiche del treno e mi è rimasta una macchia nera. Non capivo dove me l’ero fatta. Poi mi sono ricordato, mi fa ancora male il torace e c’ho un segno sul braccio, una di quelle che fanno roccia mi guardava questo segno mentre raccoglievo con le dita un pezzo di cipolla e me lo infilavo in bocca.

L’altra sera mi sono mangiato una pizza tonno e cipolla al Formula Uno, a San Lorenzo. Avevo una fame che ci vedevo doppio, erano le undici, avevo quattro birre in corpo ma non avevo mangiato nulla. Eravamo stati a sentire delle letture di Alessandro Haber, a Villa Mercede, organizzato dal comitato mamme di san Lorenzo letture di Bukowski che Haber tempo fa aveva messo in scena uno spettacolo di Bukowski, al Vittoria, con lui che entrava in scena travestito da donna, poi alla fine si toglieva il travestimento, la parrucca, il vestito, lo posava sul letto in scena e rimaneva in collant.

Mentre leggeva, Haber si fumava una sigaretta dopo l’altra. Dal palco, lì all’aperto, e diceva al pubblico di fumare. Mi sono fumato quattro sigarette, Fortuna blu. Mentre leggeva, Haber ogni tanto sputava, perché secondo me fuma tanto, sputava sul palcoscenico, a volte si fermava e si bevevo un sorso d’acqua. Lui fuma Marlboro Lights e dice cazzo. Poi, mentre legge, alla fine di un pezzo, fa sempre ujna smorfia come di compiacimento. Aveva un sacco di fogli sul leggio di fronte a sé, c’era un tale, lo chiamavano maestro Ceccarelli, che suonava la fisarmonica, in background, quando lui riprendeva fiato fra un pezzo e l’altro. Gli faceva male un ginocchio a stare in piedi, dice che si è fatto male giocando a tennis con Michele Placido in Tunisia, in un campo di terra e cemento. Poi, però rantegava e un po’ e riprendeva a leggere. Legge bene, si vede che si cala nei panni di Bukowski e secondo me Haber bere gli piace. Alcol, dico.

A un certo punto ha cambiato autore. Continuava a fare queste smorfie alla fine dei pezzi che leggeva. Una specie di sorrisetto, come se dicesse belin sticazzi che bel pezzo che hai scritto, Bukowski, belin sticazzi che bel pezzo che hai scritto, neruda, belin sticazzi che bel pezzo che hai scritto Garcia Lorca, belin sticazzi che bel pezzo che hai scritto Trevisan. Questo Trevisan ho cercato di leggerlo, a volte, ha scritto un libro che si intitola i 15.000 passi, ma mi sono sempre arenato. Però ha letto un suo pezzo, Haber, che parla di qualche amico che va al bar e al bancone uno dice che aveva aperto un circo straordinario ma poi hanno dovuto chiudere perché non piaceva a nessuno. Era un circo dove c’era un nano alto un metro e settantacinque, un inglese che non era inglese, parlava italiano e altre cazzate così. Alla fine, gli altri amici gli hanno detto, beli, è normale che hai dovuto chiudere, non è il mondo che non ti capisce, sei tu che sei un minchione, scusa. E lo mollano lì al bancone.

Alla fine della lettura Haber fa la sua smorfietta compiaciuta e scacchia un po’. Poi, tira fuori fra i fogli la poesia lentamente muore, credo che sia questo il titolo (però sono sicuro che se vai su Google e la cerchi con queste due parole) di Pablo Neruda. Prima di iniziarla e di dire cosa sta cercando nella pila di fogli davanti a lui, poggiati sul leggio, dice che quella è una poesia che chiunque dovrebbe regalarla a qualcun altro perché è bellissima. Non aveva ancora detto il titolo. Poi, diceva che bisognerebbe appendersela al frigo in casa. Quando ha letto il titolo mi è venuto da ridere perché fin dai tempi dell’Argelati questa poesia me la sono tenuta appesa in casa. Allora, all’Argelati, addirittura ce l’avevo appesa ad un chiodino alla porta d’ingresso. Qua a Roma l’ho tenuta attaccata in cucina con dei magneti, non al frigo però, perché c’ha le ante di legno. Strano ma vero, è un frigo che non puoi attaccarci i magneti.

Tornando alle cipolle, un’altra cosa che mi piace tantissimo è il saggio del Cipolla, quello sulla stupidità umana. Anche quello lo trovi su Google, basta che digiti Cipolla stupidità. Ci sono le ascisse e le ordinate della stupidità. La cosa più bella è che parlando dei danni subiti dagli altri, iul Cipolla dice che per la tua incolumità sono più pericolosi gli stupidi e i cretini dei figli di puttana. Perché gli stupidi ti fanno male senza senso, senza intenzione, quindi ti fanno più male perché non te l’aspetti il danno. Invece i figli di puttana almeno sono coerenti, se ti fanno male almeno lo fanno perché vogliono.

1 Comments:

At 4:11 PM, Anonymous Anonimo said...

belin, sticazzi che bel pezzo che hai scritto paolo...

 

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