talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

15 luglio 2006

Code in A10


E’ sabato mattina, sono le 10.37, mi sono spostato il pc in cucina, così scrivo più tranquillo. La Pina sta dormendo, di là. Mi sono acceso la radio, ho appena fatto i piatti. Sono sveglio da due ore, più o meno. Mi sono bevuto la mia caffettiera di caffè, da due. Sto ascoltando le condizioni del traffico, dalla sala operativa di Genova, le condizioni del traffico, code in A10.

C’è traffico in Liguria, vanno tutti al mare. Però è scorrevole, niente incidenti, meglio così. All’uscita di Lavagna c’era una che voleva uscire dalla macchina, è scesa, ma la macchina continuava ad andare, perché le è rimasta una scarpa incastrata nell’acceleratore. La radiocronista diceva speriamo che questa Cenerentola trovi il Principe Azzurro.

Ci andavo sempre al mare a luglio, ma anche a giugno, con mio papà, sulla A 10, andavamo quasi sempre a Moneglia. La cosa bella erano le gallerie, da Riva Trigoso e Moneglia. C’era un semaforo che durava venti minuti, poi quando scattava il verde entravi nelle gallerie, duravano un sacco di chilometri e quando arrivavi a Moneglia quasi non ci credevi, perché dentro le gallerie sembrava di uscire dall’estate, fa un freddo pazzesco dentro nelle gallerie di Moneglia. Però poi esci e vai a farti un bagno. A Moneglia c’è la sabbia, di solito quando andavo al mare in settimana, c’erano sempre gli scogli perché in motorino da Genova arrivi al massimo i posti dove la sabbia non c’è. Come a Nervi, Bogliasco, Pontetto, Pieve, Sori. Poi a Sori vicino alla piscina della pallanuoto c’è il panettiere con la focaccia col formaggio più buona dell’Italia.

Mentre lavavo i piatti ascoltavo la radio. A un certo punto hanno mandato una canzone di Mario Venuti. Diceva che sempre è una parola che fa luce, che a un certo punto gli sembrava di vederci chiaro, nelle trame della vita, ma che è un attimo e poi torna tutto come sempre, confuso. Un attimo e che la parola sempre fa luce. Fa luce sì la parola sempre, è una parola che se ci pensi non esiste, perché chi mai l’ha provato il sempre. E’ impossibile provarlo il sempre. Nulla è per sempre, lo sanno tutti, però per me la parola sempre serve. Serve perché quando uno fa le cose non vuole pensare che finiranno, prima o poi, anche se già lo sa che prima o poi finiranno. Però, se uno non pensasse che potrebbero continuare per sempre allora non le inizierebbe nemmeno, le cose. Che cosa le inizierebbe a fare, le cose, se stesse lì tutto il tempo a pensare che intanto prima o poi finiranno. La penso così, sempre è una parola che fa luce, ci vedi chiaro ogni tanto, a sprazzi, poi torni nella tua confusione, però così, pensare che le cose possono continua re per sempre serve. Almeno ci provi, se no non ci provi nemmeno.

Prima alla radio hanno mandato una bellissima canzone in brasiliano. Mentre lavavo i piatti mi sono messo a ridere, perché sembrava genovese. Era la voce calda di una donna, una brasiliana, che cantava e mi immaginavo che al microfono ci fosse la panettiera di Sori, dove ci andavo in bici, con la mia Sedazzari rossa, che quando arrivavo lì, da Genova, mi ero fatto un bel pezzo di Aurelia, era maggio, mi fermavo, mi prendevo una bella slerfa di focaccia col formaggio e a volte mi guardavo l’allenamento del Sori, la panetteria è di fronte alla piscina del Sori. Poi, mi bevevo l’acqua della fontana e mi fumavo tre Fortuna, me le infilavo sempre ei pantaloncini da ciclista,. Attillati, neri, con la gomma piuma nel culo perché se non col sellino della Sedazzari mi venivano i calli sotto le palle. Era bello, solo che poi il ritorno a casa era sempre un mazzo così, però mi piaceva, pedalare sull’Aurelia.

La mia Sedazzari rossa l’avevo pagata 500.000 lire, con i soldi delle ripetizioni di latino. La bici da corsa è molto più bella della mountain bike perché in discesa vai molto più forte. A me mi piaceva andare in discesa, quando salivo su a Bavari, facevo il giro da dietro, magari pioveva, solo che si scivolava quindi in discesa dovevi andare senza frenare se no cadi. Poi, scendevo giù da dietro, da Staglieno, a volte. Era bello anche il giro su dal Righi, passando dalla Polveriera e dal parco del Peralto, che poi in discesa passavi dai palazzoni su, fino a giù dal Lagaccio.

Ieri sera ci siamo visti un film da deca e lode. Si chiama La guerra di Mario, parla di un bambino di Ponticelli, quartiere periferico di Napoli, che viene dato in affidamento ad una coppia borghese. La protagonista del film è la Golino, che di solito è irritante perché ha una voce strana, roca, ma ieri no. Il film parla della maternità. Della voglia di maternità della donna, che non ha voluto fare un figlio suo anche se poteva e allora si butta nell’affidamento. E’ un disastro, perché madre e figlio non si incontrano mai, vengono da due pianeti assolutamente diversi, però è un film davvero toccante, perché questo bambino mi ricorda me da piccolo, la sua guerra personale è tutta nella sua testa, contro tutti. Poi, trova un cagnolino, un jack russel, che alla fine muore sotto una macchina perché questo bambino a un certo punto attraversa a Napoli col rosso, rischia la vita, apposta, la sfanga, ma il cane lo segue e ci rimane.

L’uomo della Golino in questo film è completamente inadeguato alla paternità. Si trova con questo bambino nella casa della sua partner ma è assolutamente incapace di instaurare un rapporto amoroso con lui. Alla fine, anzi all’inizio, si trasferisce di nuovo a casa dei suoi genitori. Quarant’anni e non sentirli.

Il film è diretto dal regista Antonio Capuano, guardando i contenuti del dvd abbiamo visto che il produttore è lo stesso delle Conseguenze dell’amore, per questo il film mi è piaciuto così tanto, perché non è il solito film della Medusa. Mi piace sapere che in Italia ci sono questi film indipendenti, fuori circuito.

Ci sono le news alla radio adesso, stanno parlando dello sciopero dei tassisti, ieri passavo da Piazza Venezia, c’era il blocco, uno dei tassisti stava scrivendo con l’uniposca uno dei cartelli di protesta contro Bersani e Bertinotti, poi andavano a protestare a Circo Massimo.

Stavo andando a riprendermi il motorino, si era fermato, arrivo dal meccanico, gli chiedo quanto ti devo, mi dice niente. Come niente, gli dico. Mi fa ciao ciao con la mano, sai con il pugno che si apre e si chiude, come a volermi dire non rompere, smamma, se dico niente è niente. Il mio meccanico è u uomo alto un metro e sessantasette, capelli grigi, unti, con la riga, barba ispidissima, magrissimo quasi affilato, assomiglia a uno di quei cattivi dei western con Clint Eastwood, i western all’italiana di Sergio Leone, ha tutti i denti rotti, quelli sotto. Ma orami sono un suo cliente e non mi ha fatto pagare niente. Mi ha detto che ha dovuto soltanto cambiare un pezzettino, colpa della pipetta. Gli ho detto buona domenica, mi ha fatto ciao ciao con la mano.

C’è coda a partire da Masone sulla A26 in direzione Genova. Sono le 11.07. La Pina continua a dormire. Ma dove sta Usmate di Velate? Mi hanno detto che ci vive la mia ex fidanzata storica, con la sua famiglia, la Simo.

Non ho mai deciso se preferisco le spiagge con la sabbia oppure con gli scogli. La spiaggia di entra nelle orecchie e te la trovi nelle mutande, anche quando ti cambi e ti fai la doccia, poi i granelli entrano nel telefonino e ti si infilano negli interstizi degli occhiali. Mi sa che preferisco gli scogli, anche se da quando me ne sono andato da Genova vado sempre nelle spiagge con la sabbia. Che poi ti sdrai direttamente nella sabbia, davanti e dietro, come un’impanata, ti ci rotoli dentro, magari ti ci sotterri, che la cosa più bella quando c’hai la sabbia dappertutto dopo è buttarti in acqua e sentire la panatura che se ne va, magari dopo che ti aveva un po’ raschiato le guance, basta che tieni la bocca ben chiusa se non ti entra la sabbia in bocca e fa schifo.

Ieri a pausa pranzo mi sono seduto con il mio tocco di pizza bianca e mortazza a Palazzo Farnese, in mezzo ai turisti americani, all’ombra. C’era la pazza di Piazza Farnese che continuava a urlare “troia…..puttana….troia….puttana….” per venti minuti, rivolta a duna finestra della piazza. Pi se n’è andata, chissà come stava con quel poncho di lana multicolor sotto al sole ci saranno stati 38 gradi, meno male che almeno aveva le infradito. D’inverno la vedo ogni tanto che sta sdraiata sui cartoni a dormire. E’ sempre pulitissima, chissà dove si lava e dove fa la pipì.

Le previsioni del tempo sono buone, c’è un po’ di qualche rovescio temporalesco in Piemonte. Ma chi se ne frega.

Code a tratti sulla Roma Valmontone per un incidente, direzione sud.

A me le trasmissioni televisive che mi piacciono di più sono Sfide, su Rai Tre, Un Posto al Sole, su Rai Tre, Le invasioni barbariche, su La7. Ieri sera hanno fatto vedere la replica della Bignardi con la Litizzetto, simpaticissima, la Litizzetto, fichissima. Diceva che a 13 anni per farsi notare alle feste doveva mettersi i petardi nelle tasche, perché non era un tronco di figa. Diceva che ogni anno, a Babbo Natale, gli manda una lettera chiedendo di diventare più figa. Diceva che ovviamente essendo un cesso ha dovuto sviluppare altre armi per farsi notare e che essere figa di certo aiuta nella vita. Come darle torto. Ovvio.

Sfide su Rai Tre è come vedere un romanzo di qualche sportivo con tutte le immagini in bianco e nero. Di solito poi fanno vedere personaggi secondari dello star system (eh, che parolone, non te lo aspettavi, ti sto strizzando l’occhio fans) come ad esempio Capirossi, che ha sempre vissuto all’ombra di Valentino Rossi, o giocatori di calcio periferici. Che mi sa che il mondo alla fne se guardi bene è una grossa periferia, allargata, e che il centro davvero, chissà se esiste veramente. Come direbbe Mario Venuti, quel gran paraculo catanese un mito di cantante, davvero, l’abbiamo visto una volta in concerto all’Olimpico, con Carmen Consoli, c’era anche Maria Grazia.

Mi sa che lunedì mi compro un Kimco 125, ormai non si può più andare in due in motorino se non hai la targa nuova e il mio Free cade a pezzi, non l’ho revisionato. C’è tutta la plastica del sellino che si sta sgretolando, c’è il giallo opacizzato della gomma piuma che spunta da tutte le parti e i tocchi di plastica che si staccano. Però funziona ancora alla grande, romba al semaforo, non so se me la sento di rottamarlo. Gli voglio bene al mio Free, lo so che sono sentimentale, ma l’importante, lo dice sempre Chrisitan, sentimento senza sentimentalismo.

C’è una canzone di Tina Turner in radio, te la ricordi quando stava là, sul palco che sembrava un cavallo che scalpita? Però, detto fra noi, nella mia ignoranza di musica, preferisco Macy Gray. Le sue cassette me le hanno fatte tutte saltare, una volta che mi hanno aperto la Polo, ci sono rimasto male. Magari oggi me ne vado da Feltrinelli e vedo se trovo un best off di Macy Gray. Anche i Velvet mi piacevano, me li ascoltavo sempre sull’autobus da Lambrate al lavoro, nel walkman, era il ‘98.

Sono le 11.27, adesso mi faccio la barba e la doccia e mi vado a comprare il giornale e la Settimana Enigmistica poi mi scrivo i miei freelance. Poi, domani, magari ce ne andiamo in piscina. Chissà quanto costa quest’anno, mi sa che andiamo sui 15 euro. Mi sa che ricomincio a giocarmi la schedina tutte le settimane. Ma l’Inter ha vinto lo scudetto? Mi sa di sì, mi sa che l’Inter ha vinto lo scudetto.

1 Comments:

At 11:57 PM, Anonymous Anonimo said...

Cristo ,scrivi come un libro stampato,ciao

 

Posta un commento

<< Home