talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

03 settembre 2006

4 agosto, Ladikò (spiaggia di Antony Quinn, quello di “Zorba il greco”), 12.07


Abbiamo appena fatto il bagno, acqua limpida, qualche yacht in rada. Due lettini per 6 euro. Rodi non è male, ma Lefkadas è sicuramente meglio. Qui c’è un sacco di turismo, un mare di italiani e mandrie di svedesi (soprattutto teen ager, donne).

Stanotte ho vissuto una situazione drammatica. Verso le tre mi sono svegliato, forse per gli schiamazzi notturni. Abbiamo preso una stanza in un alberghetto, lo “Spot hotel”, nella città vecchia di Rodi. Una cinta di mura medievali, davvero belle da vedere dal di fuori. Dal di dentro, è una specie di recinto umano, pieno a uovo di turisti-mucca, che verso le 18.00, docciati dopo una giornata di mare, cominciano a pascolare in mezzo alla massa infinita di negozi che si susseguono senza sosta in queste vie, che hanno tutte il nome di qualche filosofo antico. Sokratous, Perikleus, Aristotelous sono il regno incontrastato di gadget, giros pitta, fumerie, pelletterie (ma che senso ha vendere una pelliccia di visone in agosto? E i camperos, ma forse questi hanno senso perché un buon 30% delle tamarre in giro porta la minigonna e gli stivali). Mucche dappertutto. Di buono c’è che ieri sera c’era uno con la maglia di Santillana.

Tornando a stanotte, mi sveglio alle tre. Mi alzo, non riuscivo a dormire. C’era caldo, anche se non paragonabile all’afa micidiale di Roma. Ieri sera siamo andati in una di queste taverne (da Kostas) segnalate sulla Lonely Planet, la nostra bibbia delle vacanze. Anche lo Spot hotel lo abbiamo individuato sulla Lonely Planet. Ci siamo venuti soprattutto per i commenti egregi di ex vacanzieri nei confronti del proprietario, Lee Mavros, un greco gioviale, grasso, sui 45 anni, un po’ calvo e ricciolo, che parla americano che sembra JR.

Comunque stanotte alle tre mi alzo. Ieri sera da Kostas abbiamo mangiato nell’ordine: tzatziki (aglio allo stato di yogurt); feta saganiki (due tocchi così di feta fritta); io, calamari fritti; la Pina, polpette di carne. Da bere, retsina. Da Kostas mentre mangiavamo c’era un gatto bianchissimo che camminava in mezzo ai tavoli, sembrava un gatto albino, tendente al giallo da quanto era bianco. Era talmente bianco questo gatto e arruffato, che gli si notavano le borse nerastre sotto gli occhi. Kostas è in via Pitagora, che però in greco si dice Pitagòra.

Insomma, mi sveglio alle tre, per gli schiamazzi, ma anche perché mi sento un po’ appesantito da questa cena. Rutto tzatziki, poi mi metto al davanzale della finestrella (la stanza è microscopica) e qui succede il mio dramma. Mi accendo una Marlboro Lights, mentre la Pina sta dormendo della grossa anche se ho dovuto accendere la luce per trovare l’accendino sul tavolo pieno di cose. Sono allla finestra e noto che sul davanzale c’è soltanto una delle mie due Timberland a sandalo, l’unico paio di scarpe che mi sono portato in vacanza insieme alle infradito di Mas (2 euro).

Uno dei due sandali della Timberland è volato di sotto nella notte, il vento soffia a raffiche violente sull’isola di Rodi. Sono assolutamente distrutto da questa cosa, ho perso uno dei miei sandali.

Li avevo messi sul davanzale la sera prima, sono fetenti e non volevo appestare l’aria della stanzetta.

Mi sporgo fuori dalla finestrella, ma non vedo nulla. E’ buio pesto e un albero frondoso mi copre la visuale, praticamente i rami entrano in stanza. Mi devo rassegnare, la scarpa è andata e devo aspettare domani mattina e la luce per sapere che fine ha fatto.

Non so nemmeno se la nostra stanza dà sulla strada o su un cortile interno ed è talmente buio che non si vede nulla. Dramma. Che cazzo me ne faccio di un sandalo soltanto, numero 40, della Timberland e puzzone?

Sveglio la Pina, condivido con lei il mio dramma, lei mi dice di calmarmi, fumo tre sigarette di seguito, mi leggo due racconti di Bukowski e poi verso le 4.00 spengo la luce.

Mi addormento e faccio questo sogno. Ci sono io che corro verso un campo di calcio. Dobbiamo giocare, all’improvviso, sono riuscito a convincere la squadra a presentarsi alla partita. Sono venuti tutti, nonostante lo scarso preavviso. E’ notte, il campo è coperto di neve, uno strato di almeno trenta centimetri. Per entrare negli spogliatoi dobbiamo scavalcare un cancello. Prima di farlo, lancio la mia borsa oltre le sbarre. Poi scavalco. Una volta di là, cerco dappertutto la borsa con la roba da calcio, che è finita sotto la neve che continua a cadere fittissima (c’è una bufera) ma non riesco a trovarla.

Stamattina appena sveglio racconto a Lee Mavros il problema della scarpa. Mentre prendiamo il caffè della prima colazione, lì nel giardinetto dello Spot hotel, arriva Lee Mavros e mi dice: “A gift from the hotel” e sorridendo mi restituisce il sandalo perduto. L’avrei baciato.

Ieri sera vagando per Rodi siamo finiti in una parte defilata della città vecchia, a sinistra del minareto. Ci siamo seduti in un bar per una birra (Elas) in una piazzetta deserta. Le facciate delle case distrutte e scrostate, con le persiane che gli mancavano delle assicelle e cadenti. Abbiamo fatto due foto, poi mi sono concentrato sulla partitella dei bambini del quartiere, in pieno svolgimento.

C’erano tre bambini, dopo un po’ si è aggiunto un quarto. Età compresa fra 5 e 8 anni. Campetto: il cemento della piazza, misto a ciottolato laterale verso il marciapiede. La porta (una sola) era fatta dalle due colonne di un’edicola in stile arabeggiante. In porta facevano i turni. Quelli in gioco se la passavano e poi cercavano sempre la conclusione ad effetto. Uno, lo chiamo Titti perché indossava una maglietta con una gigantografia di Titti, era grassissimo e giocava con i sandali. L’altro, si chiama il nano, giocava con le ciabatte proprio. Il terzo, lo chiamo Puma, perché era l’unico con le scarpe da ginnastica. La palla, un gommato da 250 grammi.

Il nano ci dava sempre e soltanto di tacco. Titti rideva sempre e prendeva gol da tutte le parti, un colabrodo in porta. Puma ci provava, senza gran successo. In porta, poi, c’era un gradino e quando la palla rimbalzava sul gradino, che alla fine era come se fosse la linea di porta, ma poi rimbalzava di nuovo in campo, comunque non era gol.

Intorno, anzi nel campo, c’erano le ragazzine del quartiere in bici che giravano e si inserivano a intermittenza nella partita in corso nella piazzetta. Le bambine cicliste erano elementi intermittenti della partita, come quando un piccione entra in campo e poi vola via, ma finché resta in campo anche lui, il piccione, può incidere sulla partita, se non altro perché magari vola in faccia ad un giocatore oppure devia la traiettoria del pallone.

Una delle bambine andava in mountain bike, avrà avuto otto anni. Un’altra andava in giro in monopattino. Sai, quei monopattini metallizzati, in titanio, ultra tecnologici. Il gioco delle bambine, che si svolgeva nello stesso spazio della partitella di calcio dei bambini, era che la bambina in monopattino inseguiva quella in bici e cercava di speronarla da dietro. A un certo punto, mentre Titti tirava una staffilata nel sette delle colonne arabeggianti dell’edicola, la bambina in monopattino è riuscita a tamponare quella in mountain bike e l’ha fatta volare in terra. Belin, ridevano. Un volo della madonna, ridevano.

Dopo un po’, quella in monopattino è volata da sola, si è sbucciata le ginocchia, però rideva lo stesso. Alla fine, dopo un po’ di tempo, quella in mountain bike è arrivata a piedi con un grappolone d’uva rossa succosissima e magnava ai quattro palmenti e doppiomenti.

In tutto questo, c’era un elemento estraneo, una bambinetta sui quattro anni con capelli lunghissimi che si aggirava come una mina vagante nel campetto-piazzetta. La bambinetta indossava jeans a culo basso ultimissima moda, scarpe da ginnastica bianche fosforescenti nel tacco, magliettina a maniche corte a fiori. Tra l’altro, si vedeva benissimo a occhio nudo che si era pisciata addosso, aveva un macchione enorme di piscio nei jeans ma continuava a gironzolare nel bel mezzo della partitella di Titti & co.

Nel bar dove bevevamo la birra servono dei calzoni fantastici. Mi sa che una sera di queste ci torniamo.