talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

07 aprile 2006

Fame notturna


Stanotte mi sono alzato, intorno alle due. Non riuscivo a dormire. Ma me la potevo evitare, la nottataccia. So benissimo perché non riuscivo a dormire, avevo fame. Ero andato a letto con troppa non chalance, senza ascoltare i richiami della panza che borbottava in serbo-croato.

Mi alzo, alle due, dopo che mi ero rivoltato nel letto sperando di distogliere l’attenzione dalla fame. Mi alzo, consapevole che in frigo non c’è una mazza. Soltanto un pacco di wurstel – non me la sono sentita di mangiarmeli così, crudi – e una vasca piena di kiwi. Nella credenza, soltanto dolci; Kit Kat, ovetti di cioccolato, Bridge Blandning – il sacchetto di dolci dell’Ikea – che i dolci quando hai fame di cose salate non sono la soluzione giusta, ti fanno sentire come uno che si vuole comprare una Bmw e finisce con la Skoda.

Mi rassegno, e scelgo il meno peggio. Decido di giustiziare la confezione di Cioco Pops, le palline di non so che cosa, zucchero e cioccolato, con la confezione che c’è sopra una scimmietta. Un alimento estraneo alla mia vita, al quale ricorro esclusivamente perché non ho altra scelta. Apro il sacchettino plastificato dei Cioco Pops, la scimmietta della confezione mi guarda e ride, porta calzoncini corti e scarpe da ginnastica, si vede che è disegnata per un target giovanile, anzi per bambini.

I Cioco Pops sono una degenerazione dei Corn Flakes, lontanissimi parenti del muesli, che invece – a piccole dosi – mi piacciono pure, soprattutto di notte non so perché mi viene voglia di latte. Apro il frigo, verifico la presenza di un rimasuglio di latte – scremato, da mezzo litro, già aperto – e verso il tutto in un bicchierone da birra, di quelli grossi. Rovescio i Cioco Pops nel bicchiere, sono marroncini di cioccolato, sono simili a delle patatine. Poi, verso il latte. Non ricordo se in passato ho mai mangiato dei Cioco Pops, ma diversamente dal muesli e dai Corn Flakes, loro, le palline marroncine, non si ammorbidiscono a contatto con il latte.

I Cioco Pos galleggiano. Sono come boe nel mare, sono come palloncini in una vasca da bagno. Più latte verso, più galleggiano. Alla fine, quando il livello del latte è al massimo, le palline cominciano a rotolare fuori dal bicchiere, ticchettando sul pavimento della cucina. Alcune palline isolate rotolano nel lavello, per fortuna è vuoto, non ci sono piatti da lavare. Le raccolgo e me le infilo direttamente in bocca. Non mi azzardo a rimetterle nel bicchiere, provocherei un disastroso effetto domino.

In quel momento lì, saranno le due e dieci, sono seduto lì, in cucina, con questo bicchierone di latte pieno di Cioco Pops davanti, che raccolgo uno ad uno con le dita, perché stanno trasbordando dal bicchiere e mi rotolano dovunque, sul tavolo, per poi cadere sul pavimento. Prendo un cucchiaio, tento di mangiare come dio comanda, ma non c’è stata l’amalgama fra Cioco Pops e latte. I due elementi è come se si respingessero. Rimpiango l’assenza dei muesli e dei Corn Flakes e decido di giustiziare una volta per tutte i Cioco Pops per non dovermeli più trovare nella credenza, alle due di notte, in piena emergenza de panza.

Mentre faccio tutto questo, penso alla fermata di Piazza Vittorio, ci sono stato in giornata. C’erano due cose che non mi quadravano, di giorno alla fermata: la prima, non c’era il solito menestrello che suona la chitarra appena entri nel tunnel. E’ un menestrello che deprimerebbe anche un seguace new age al top della forma fisica. Canta soltanto canzoni di Guccini, di Masini, di Baglioni, di non so chi altri. E’ un attentato alla tua giornata. Nel tragitto a piedi sul linoleum nero della metro fino alle barriere per scendere ai treni, la voce potente del menestrello di Piazza Vittorio ti hanno già triturato i timpani che senza difesa subiscono questo assalto di depressione, magari mentre invece vorresti o dovresti ripartire di slancio, verso una nuova giornata lavorativa e produttiva. Non gli ho mai lasciato una monetina per principio, a sto menestrello. Da un lato, sono contentissimo di non dovermelo sorbire, dall’altro non so perché la prima cosa che mi viene in mente è “dov’è Guccini?”.

Timbro il biglietto – uno davanti a me bestemmia perché non riesce a infilare il biglietto nella macchinetta, e la manda vaffanculo, alla fine, la macchinetta, quando esasperato passa vicino al gabbiotto dell’Atac e chiede aiuto, sostegno perché è sul punto di esplodere in una crisi di nervi irrefrenabile davanti all’obliteratrice – scendo giù e mentre aspetto la metro, con la radio in sottofondo e Metro chiuso sotto braccio, vedo un mega poster di Alena Seredova – la fidanzata strafica di Buffon – che sponsorizza una nuova linea di lingerie.

La lingerie è fucsia, ma la cosa strana non è che la faccia di questo cartellone, la faccia ritratta lì della Seredova, si trova esattamente all’altezza del volto di chi aspetta la metro, no non è questo che mi stupisce, anche se comprendo il trucchetto di marketing che ispira chiunque si trovi lì a baciare quel volto perfetto nei lineamenti e ad appoggiare la testa, mollemente, su quel seno color fucsia. Che tra l'altro prova a cercare la Seredova sulle immagini di Google, cercavo la lingerie ho trovato una serie di calendari che secondo me dal mio meccanico la Seredova ha spodestato l'altra, dai, la Chiappini.

La cosa che mi colpisce del mega-cartellone della Seredova, appeso lì sotto terra, è il fumetto che qualche cittadino in attesa, con un uniposca nero, ha scritto sopra la bocca della Seredova: immaginati la classica nuvoletta dei fumetti, poi, dentro, c’è scritto:

VOTA BENE!

Vedendo questo messaggio subliminale, ho provato un profondissimo rispetto per colui che ha inventato il cartellone elettorale più efficace delle storia del marketing politico. Complimenti, chiunque tu sia, sei il mio graffitaro preferito. E non importa che dal finestrino della metro, una volta in moto verso la mia Porta, abbia visto miriadi di Alene Seredove campeggiare sulle pareti delle altre fermate deturpate da uniposca più prosaici, con ciuffi evidenti nel basso ventre, capezzoli finti, denti neri e commenti scurrili che le uscivano dalla bocca, nella solita nuvoletta non elettorale. Quello che conta è che anche Alena Seredova diventa un veicolo politico, lì a Piazza Vittorio, in attesa della metro. Un veicolo interattivo, fra Buffon e la cittadinanza votante.

Per dovere di cronaca, nel cartellone di fianco a quello della Seredova c’era la pubblicità di una scuola di portamento a via Veneto, se non erro, ma magari erro e semmai me ne frego, erro – due pezzi di figa alte un metro e ottanta, mezze nude, con un boa color pesca – e lì sopra il graffitaro politico si era un po’ più sbilanciato, scrivendo:

VOTA FINI!

Certo che Buffon è messo bene. Anche perché come lingerie mi sa che non ci mette tanto a levargliela di dosso, alla sua fidanzata. Per il resto, quando ho finito i Cioco Blocs mi sono bevuto finalmente il latte, che era diventato leggermente marroncino, poi me ne sono andato a dormire con l’impressione di aver mentito a me stesso, mangiando un rimasuglio immondo della mia credenza, e giurando a me stesso che le scorte alimentari sono una cosa seria e che la prossima volta che vado al supermarket devo pensare agli attacchi di fame notturna.