talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

05 agosto 2007

Dietro le quinte


Oggi è domenica, sono le 14.48, e mi sto rompendo le palle. Una noia indescrivibile, dupalle mondiali. Detto questo, a pranzo mi sono mangiato tre cotolette di pollo, la pancia continua a farmi male da cinque giorni, comincio a domandarmi se non sto fingendo di essere io quello incinto con i dolori addominali in attesa di partorire. Non lo escluderei a priori, magari c'ho l'invidia della panza della Pina e allora mi vengono i maldipancia psicosomatici e vado al bagno due o tre volte al giorno, altro che virus intestinale, sono incinto.

Mancano 16 giorni al parto e l'attesa si fa estenuante per me, mi sembra di essere in periodo di avvento a otto anni, quando ogni giorno aprivo una di quelle finestrelle del calendario prenatalizio. E dire che me ne potrei andare in piscina, al lago e fare altre cose, belin, vivo a Roma. Invece resto a casa a sfrangermi le palle contro il muro. Tanto la mia presenza non è che cambiano le cose, non ho nessuna voce in capitolo sulla panza della Pina, eppure non riesco a staccarmi da casa. Forse è una scusa, l'ennesima, per non fare niente facendo finta che sto facendo qualcosa. Mi viene benissimo.

Stamattina mi sono comprato il giornale, la Repubblica. Le solite cose: esodo estivo, 11 milionoi di italiani in viaggio, non c'è più nemmeno un italiano in casa tranne me. Tutti in autostrada, verso il Brennero e la Slovenia. Solo io che resto attaccato al fortino di casa, in attesa di schiacciare il brufolo nella panza della Pina, tutti al mare, al lago, a magnare. E io da solo, l'unico in Italia, che resta a casa. Belin, meno male che il panettiere non va in ferie, quello di San Giovanni, se no morirei di fame, mi troverebbero sdraiato di fianco al letto, in putrefazione, qualche condomino chiamerebbe la polizia per la puzza che arriva da casa mia.

Ieri sera siamo andati alla festa di compleanno di Julie, compiva due anni, giocava dentro una piccola tenda canadese e diceva che era casa sua, sul terrazzo a via dello Statuto. Me la voglio comprare anche io una canadese, me la monto in casa, in salotto, e faccio finta di essere in campeggio in montagna. Poi esco e mi guardo la tele in salotto, poi rientro e faccio finta di essere in vacanza. Così posso fare finta di essere in vacanza tutto l'anno, minchione sul Brennero.

Stamattina nel giornale ho letto una lettera di Veltroni, una lettera aperta. Non mi ricordo una parola. Oggi pomeriggio la Samp gioca un'amichevole con il Newcastle, la danno su Sky e non me la vedo, alle 18.30. La Pina si sta guardando un film pomeridiano su La7, una parodia di Sherlock Holmes, nel film Sherlock Holmes è un mentecatto e Watson deve tenere su la baracca. Tipico.

Ieri sera al compleanno di Julie lei a un certo punto ha spento le due candeline. Non capiva che doveva soffiarci sopra, poi l'ha capita, belin, è il suo primo compleanno pseudocosciente. Era tutta vergognosa quando le facevamo l'applauso finale, poi ha smesso di fare le moine, ma ci ha messo un po' a smettere. Fare le moine in braccio a papà, sputaci sopra. C'era un'altra bambina di due anni, Matilde, poverina, invidiosissima, ma è normale, perché tutti i regali erano per Julie. Ha fatto un po' di scene perché non era la sua festa, Matilde, come spiegarglielo, alla fine è stata fin troppo brava. Ha subìto la festa dell'amichetta senza nemmeno urlare troppo, solo a un certo punto ha comicniato a sbattere i piedini di brutto, si è impuntata con la madre, e mentre sbatteva i piedini girava su se stessa, semprava un freesbe con la gonnellina.

Mi ricordo quando ero piccolo il battesimo di mio fratello, avrò avuto più o meno tre anni, lo avrei annegato nel battistero. E' normale a quell'età, anche perché poi non è che le cose, crescendo, cambino più di tanto quando diventi grande. Con questa cosa dell'invidia e della cosa di voler essere sempre sotto i riflettori. Soprattutto per le ragazzine, povere bambine del papà, purupù purupà. Meno male che mi nasce un maschi così almeno so cosa dirgli, quando capisce, e non vengo preso sistematicamente preso per il culo da mia figlia con le sue moine del cazzo.

Ieri sul giornale c'era scritto che ormai l'uso dei tacchi alti in ambiente lavorativo è sempre più accettato e che anzi il potere delle manager si misura dall'altezza del tacco che portano. Più alto è il tacco più loro sono potenti. Lo dice una studio americano. Ma secondo me vale anche in Italia. Il tacco come la cravatta dei maschi, alla fine, un simbolo fallico. Belin, che storia, allora fra un po' un'amministratrice delegata va in ufficio con i trampoli. Tanto le fotocopie non le deve mica fare. Le segretarie in superga, invece, per correre alla fotocopiatrice e all'ufficio postale e guardare nelle vetrine dei negozi i tacchi delle scarpe della sua capa. Belin.

Ieri ho montato la carrozzina del bambino, ormai sto diventando un vero ometto di casa, poi sono andato a fare la spesa, bricolage come se piovesse. C'avevo anche la lista della spesa, al Sir verso le 14.30, da insolazione secca. Ho comprato le pesche - che sono difficili da comprare perché le devi anche pesare, sulla bilancia, senza sbagliare il numeretto che poi viene fuori lo scontrino con il costo di quella merce lì, le pesche numero 9, belin, impara testacazzo - e per scegliere le pesche ti metti un guanto di plastica, per non spargere di microbi tutte le pesche con le mani nude, che tasti per scegliere quelle migliori. Però ormai sono capace a fare queste cose, non l'avresti mai detto. E invece lo faccio, belin, non ci vuole mica la laurea. Al Sir ci sono le badanti che sono capaci di scegliere l'ananas e il melone, io non sono capace, ma secondo me non sono capaci nemmeno loro, fanno finta.

Stanotte mi sono svegliato verso le cinque e mezza, ci sono sempre i piccioni e quei minchia di gabbiani metropolitani transgenici che volteggiano sopra il cielo di San Giovanni che a quell'ora fanno un casino d'inferno, peggio del traffico e del suono delle sirene delle ambulanze al pronto soccorso in via Ambaradan. Mi sveglio, poi mi riaddormento. Tanto ormai la Pina non riesco più nemmeno ad abbracciarla da mesi, è troppo larga, non ci arrivo con il braccio le arrivo al massimo all'ombelico, belin, è una botte con la testa del bambino verso lo sterno, che mentre cammina ballonzola da una parte all'altra. Quel minchione del bambino dà un sacco di testate nella pancia della Pina, secondo me pensa di uscire dall'addome. Si vede subito che è mio figlio, non trova l'uscita. Meno male che lo tirano fuori per i piedi.

In questi giorni poi non sto quasi mai sognando, anzi, sogno ma poi appena mi sveglio è come se la realtà mi piovesse addosso come un muro e quindi il sogno non me lo ricordo quasi mai, anzi è come se la realtà mi piovesse addosso come il cemento ancora fresco e poi dopo tre minuti che sono sveglio mi avesse murato dentro a un muro. Gli ultimi due sogni o brandelli di sogno che mi ricordo sono io che telefono alla mia capa - una delle tante, anche lei portava dei tacchi altissimi, ora che ci penso, certo che le tipe che di questi tempi vanno in giro con i bermuda e gli stivali con sto caldo dovrebbero farsi un test per il cervello, c'avranno delle fonderie della Fiat al posto dei piedi là, dentro agli stivali con trentasette gradi all'ombra, che laidume a cielo aperto - e poi il secondo sogno me lo ricordo un po' di più:

sono in una cucina, vicino alla dispensa e vicino ai fornelli. Ci sono delle cuoche che preparano un sacco di cose buone, tipo pesci al cartoccio, aragoste, fritti misti di pesce, pastasciutte elaborate e li passano ai camerieri. Non mi vedono, le cuoche, perché io sono dietro le quinte, alle loro spalle. Aspetto che passi il rush di clienti da servire al ristorante per farmi preparare uno spuntino al sacco. Una cosetta semplice ma nutriente. Poi vorrei andare a fare una gita in barca, c'è già un mio amico che mi sta aspettando alla barca. Passa il rush di gente, ma le cuoche non mi calcolano, chiudono baracca e burattini e puliscono anche i fornelli, si tolgono il grembiule e se ne vanno. A un certo punto, non c'è più nessuno, in cucina, ma io non me ne posso mica andare via a mani vuote. Tra l'altro mi è venuta fame, lì ditro le quinte con tutti queli piatti che mi passavano davanti. Allora comincio ad aprire gli scaffali della dispensa. Ci sono montagne di confezioni di pasta De Cecco. Di tutti i tipi, lunghe, corte, spaghetti, bavette, linguine, fusilli ecc. Con la mugnaia della confezione della De Cecco che mi faceva l'occhiolino. Belin. Mi prendo un pacco di pasta, metto su l'acqua e mi preparo una pasta. Non so bene con che sugo me la condirò, però un cuoco è rimasto e mi sembra che si offra per farmi un bel manicaretto, anche se oramai saranno le quattro di pomeriggio. Ma chi se ne fotte, ho fame lo stesso.

Ieri sera prima di addormentarmi mi era venuta voglia di farmi un vassoio di acciughe fritte. E di farmi una pastasciutta con le acciughe fritte dentro, bavette. Per me le bavette e le linguine sono buonissime, mi piacciono di più degli spaghetti perché sono un po' quadratine. Le acciughe mi piacciono sia fritte sia al limone, olio e limone.

Da quando c'ho mal di pancia, negli ultimi tre o quattro giorni, mi sembra che sto dimagrendo. Mi sembra come se mi stessi svuotando di un sacco di scorie. Una specie di purificazione, purificami o bammaeo, sarò più bianco di bammaeo. Lo canto, a volte, in corridoio, con la musica di quel salmo responsoriale, e la Pina ride. Poi mi dice di chiamare Bammaeo e allora lo chiamo, al telefono.