talentaccio

mi è tornata voglia di scrivere

01 agosto 2006

Truzzo piace


Sì, ok, tante palle sui tamarri di qua, sui truzzi di là e poi intanto stasera la Pina è tornata a casa e mi ha regalato una canottiera. Belin, erano mesi che dicevo che a me la canottiera come capo di abbigliamento mi è sempre piaciuta e lei a dire no, è da tamarro. Stasera apro la porta, e cosa mi dice la Pina? Ecco, un regalino per te, una bella canottierina.

Che alla fine il gusto per il trucido resterà sempre di moda, voi e le vostre Lacoste. Belin, e poi mi diceva, sai te l’ho presa grigia, vedi se ti va bene, la provo, mi va bene sì. C’era anche bianca e nera, diceva la Pina, ma belin allora compramele, o no. Costava 2 euro e 50.

Un po’ aderente, ma chi se ne fotte. Poi vi so dire se è comoda, ma mi sembra di sì.

Domani ce ne andiamo in Grecia, la Pina ha fatto i bagagli, io non ho fatto niente. Mi sono preparato soltanto i libri da leggere, mi porto un Bukowski e delle altre cose, non mi ricordo, Simenon lo lascio qua, me lo leggo quando torno.

Poi, mi sono portato il quaderno dei sogni, dove ci trascrivo tutti i sogni che faccio, da un po’ non sogno ma non si sa mai, quando meno te l’aspetti ti arrivano di quei sogni in dolby surrounding che belin, per scriverli tutti ci vorrebbe un block notes di quelli in A4 vuoti però.

Oggi mi sono letto il giornale, la Repubblica, la cronaca dopo gli esteri e tutta la questione libanese. Nella cronaca si parlava delle alghe che sono tornate a Genova, come l’anno scorso, dell’overbooking dell’AirOne, del prossimo concerto di Madonna, il 6 agosto a Roma, e del “Terzanismo”. Mi piaceva questo articolo, nelle pagine cultuali, dove parlava di questo movimento di fans di Terzani, non l’ho mai letto, a metà strada fra Lupo Alberto e Siddartah.

Adesso poi sono entrato nella homepage di repubblica.it e c’è un reportage fotografico di New Orleans, c’è Spike Lee che ha girato un film-documentario sulle carenze dell’amministrazione Bush e della protezione civile americana nella vicenda Katrina (occhio se scrivi Katrina, che il solito furbacchione del correttore automatico di word te lo mette Latrina).

La galleria fotografica sulla home di repubblica.it è impressionante, ti fa vedere gli stessi posti un anno fa, che Katrina è arrivata a New Orleans il 29 agosto, e come sono i posti adesso, ad un anno di distanza. Fa impressione la foto di una high way che allora c’erano dei ragazzi in barca, in discesa, perché l’inondazione e lo straripamento di ogni possibile argine aveva allagato tutto. Adesso è di nuovo a posto. Per fortuna.

Leggi tutto

Mosaico


Ieri sera siamo andati a Trastevere. Era da tanto che non ci andavamo, di solito restiamo a Monti. Ma ieri abbiamo deciso di fare una serata diversa e siamo andati a Trastevere, con l’ammiraglia. Abbiamo parcheggiato e ci siamo addentrati da via della Lungaretta, fino a Santa Maria in Trastevere che è sempre un belvedere, soprattutto da quando hanno restaurato i mosaici.

A me i mosaici mi sono sempre piaciuti, è una forma artistica che mi convince. Sarà perché assomigliano a un puzzle, con le tessere da mettere e i colori da rispettare. Quando ero piccolo mia mamma mi regalava sempre dei puzzle, quelli piccoli, hai presente, quelli nelle scatolette che non mi ricordo nemmeno cosa illustravano.

Però, mi piaceva quando mi regalava una scatoletta perché poi alla fine mi ricordo che riuscivo sempre a finirli. Invece, a un certo punto qualcuno ha iniziato a regalarmi dei puzzle più grossi, allora hanno smesso di piacermi perché non riuscivo a finirli. Allora ho smesso con i puzzle, non mi piacevano più.

Ieri sera a Trastevere abbiamo fatto una lunga passeggiata, era pieno di turisti, allora ci siamo ricordati perché non ci andiamo poi così spesso lì. Ci siamo ricordati che noi qua a Roma non siamo turisti. E’ per questo che andiamo quasi sempre a Monti, perché quando andiamo lì ci sentiamo come nel nostro quartiere.

E tutti hanno bisogno del quartiere, non so se mi spiego, tutti vogliono avere il loro bar e il loro panettiere e la loro pizzeria. O no. Che non siamo turisti ce ne siamo accorti perché a Trastevere i butta dentro non ci provavano nemmeno con noi, chissà come fanno i butta dentro a distinguere un turista da uno che turista non è. Ieri sera a Trastevere non sapevamo dove andare a berci una birra perché non è il nostro quartiere.

Abbiamo girato un po’, però scartavamo i posti perché erano tutti pieni di turisti e non solo, non c’era un buco per sedersi in santa pace che alla fine è quella che vuoi alle sette di sera con quaranta gradi, un po’ di pace e una birra. Ti basta poco alla fine.

Dopo un po’ siamo andati a Piazza San Calisto, c’era un tavolino e ci siamo seduti lì, anche se non era il nostro bar. Eravamo un po’ estranei nella fauna del bar di San Calisto, pieno di ragazze giovani, sui 18 anni che parlavano di Ben Harper (ma chi è?). C’era una coppia di spagnoli, lì di fianco, turisti, mentre bevevamo una Moretti da 66 cl.

E la Pina mi diceva “tu non sei come lui” e non capivo. Era un po' truzzo sto qua, con la canottiera e le basette e gli occhiali a specchio, non capivo, ma lei sì. Sai, come quando per tanto tempo hai fatto finta di essere truzzo ma dentro di te non lo sei e allora quando vedi un altro truzzo ti dici “ma io sono come lui” e invece qualcun altro ti dice no. Non è così, non sei come lui, “tu non scarichi cassette al mercato e non fai il barista”, mi diceva la Pina, e io non ci avevo mai pensato al fatto che quello che fai di lavoro ti cambia e che lo senti poi.

Come quando ti rendi conto che quello che fai ti cambia, non c’è niente da fare, se fai il giornalista non puoi farle certe cose, perché l’unica cosa che hai è il tuo cervello e perché funzioni deve restare lucido.

Mi ricordo a Milano quando ho iniziato a fare il giornalista la cosa che mi dispiaceva di più era che non potevo più andare a letto alle tre di notte e girare in macchina per la città perché se no poi alla mattina mi svegliavo ed ero morto e mi sono reso conto che con quel lavoro lì il cervello mi serviva e me lo dovevo tenere lucido.

E’ stato difficile smettere di girare di notte in macchina per la città, smettere di bere la sera, perché se no poi il giorno dopo non ci capivo niente e allora erano dolori perché dovevo scrivere e se ero mezzo ubriaco con l’hang-over non riuscivo a scrivere e a concentrarmi. Certo, la notte mi manca ancora a volte, ma meno di prima.

Ieri sera al bar di piazza San Calisto di fianco sono arrivati dei suonatori, ma erano di una popolazione che non si capiva da dove venivano, secondo me erano di qualche paese vicino all’Iran, c’erano due fisarmoniche.

Uno dei due con la fisarmonica era scuro di pelle, anche gli altri erano scuri ma non erano né marocchini né indiani né srilankesi non so da dove venivano, bhè, uno dei due si muoveva tutto mentre suonava e la sua espressione del volto cambiava con le note.

L’altro no, era fermo. L’altro era una sfinge, mi piaceva, era imperscrutabile, era fisso. Avrà avuto sui 50 anni, stava immobile mentre suonava la fisarmonica (sai, quella a tracolla) lo osservavo, non sudava per niente eppure c’era caldissimo. Aveva la riga da una parte, sembrava un po’ mio padre solo che mio padre ha sempre avuto i capelli grigi, questo suonatore no, capelli nerissimi e poi un sacco di rughe di espressione sulla fronte e i gli zigomi sporgenti ma non muoveva un muscolo del corpo.

Poi hanno fatto il giro dei tavoli, la Pina gli ha dato delle monete. Di solito io non le do mai le monete perché mi sembra che faccio torto a tutti quelli a cui non le do, lo so che è una strana teoria, però scusa, perché dare un euro a uno e tutti gli altri allora?

Lì vicino a San Calisto c’è la sede della Caritas, quest’inverno ero andato a fare un colloquio lì, per l’ufficio stampa, non mi hanno preso. Poi, dopo qualche tempo, ho saputo che non mi hanno preso per il colloquio, cioè per come sono, che la prova scritta era andata benissimo, meglio di quella madrelingua inglese che hanno scelto al posto mio. Non mi hanno preso perché non ero allineato e coperto, la Pina diceva che devo imparare a fingere, che sul lavoro uno deve essere una troia, mi sa che a me non mi viene, di fare la troia. Proprio no, dovrei fare un master.

Siamo andati a mangiare in una trattoria che si chiama Ponentino, ma non tirava un alito di vento. Volevamo andare all’Obitorio e farci una pizza lì, ma dà su viale Trastevere e ci sembrava troppo rumoroso. Al Ponentino mi sono fatto un filetto di baccalà e un fiore di zucca, che ci sta sempre tutto come antipasto e poi una pizza "alito fresco". Mi piaceva il nome, in realtà è una pizza con le cipolle, a me le cipolle mi piacciono da morire, però poi sudavo di brutto. Grondavo di sudore al Ponentino si moriva di caldo.

Nel tavolo di fianco c’era un romano corpulento con la camicia chiazzata bagnata, anche lui sudava con la sua donna di fronte, una ragazza giovane ma non so perché mi sembrava di mezza età, hanno ordinato una focaccia, sembrava una quattro stagioni piena di companatico che trasbordava. Che caldo.

Siamo andati su al Granicolo ieri sera con l’ammiraglia, che adesso possiamo prenderci il fresco muovendoci meglio in due sul 125 un po’ più stabile del Free, che era un viaggio arrivare al Gianicolo, sembrava lo Stelvio. Abbiamo sbagliato strada all’inizio, ci siamo trovati a piazza del Risorgimento, odio quando sbaglio strada, non mi piace non sapere dove mi trovo, anche se mi ricordo che a Milano mi perdevo apposta perché è "l’unico modo per ritrovarsi", dicono gli altri. Ma perditi tu allora per ritrovarti testa di cazzo, perché sono sempre io che mi devo perdere per ritrovarmi, tu pezzo di merda, lo sai come ci si sente a perdere sempre strada? Pezzo di merda, perdila tu la strada, che poi ci si ritrova, pezzo di merda.

Non voglio più perdere la strada per dire che bello ho ritrovato la strada giusta. Vaffanculo, perditi tu, sacco di merda, io voglio sapere dove sono, tutto il tempo, che mi sembra che gli altri con il cazzo che perdono la strada. Se ne stanno tutti sulla loro rotta bella disegnata, e chi s’è visto s’è visto, sti figli di puttana con il satellitare in tasca, il tom tom go, che gli dice anche da che parte si devono sedere per andare al cesso.

No, dai, ma sono tranquillo, poi in questi giorni ho letto un sacco di cose che mi sono piaciute. Ho letto un racconto di Wallace, si intitola “Caro vecchio neon” dove dice una cosa che mi è rimasta impressa, non ci avevo mai pensato. La gente la vita la affronta in due modi, fondamentalmente: c’è una categoria di persone che affronta la vita dominata dalla paura; poi, ce n’è un’altra, di categorie di gente, che affronta la vita dominata dall’amore. Ecco, Wallace dice che sono questi due gli approcci fondamentali alla vita: la paura o l’amore. Sono d’accordo con Wallace, probabilmente lo ero anche prima di leggere questo racconto, solo che non lo sapevo e adesso lo so.

Mi sa che se sei dominato dalla paura è un casino perché non costruisci niente, sei troppo bloccato. Se invece ti dai all’amore, con tutto quello che ne consegue di cambiamenti, mi sa che qualcosa lo costruisci, quanto meno non hai paura di amare, in primis te stesso. Non so se riesco a spiegarmi, ci vorrebbe un esempio. Ok, se uno ha paura di tuffarsi dallo scoglio, non saprà mai com’è. Gli resterà sempre la curiosità, finché non si decide a vincere la paura e abbracciare il vuoto.

Che alla fine sto vuoto non è mica vero che è vuoto vuoto. Mentre sei lì, che salti, senti il vento, vedi gli scogli intorno, senti l’acqua che si avvicina, e ti ascolti mentre urli, di paura certo, ma nemmeno la paura è più paura lì, mentre sei in aria, la paura è diventata vento, scogli, acqua fredda e le bollicine quando arrivi in acqua, e magari anche la bracciata che ti sei preso in acqua, fa male ma poi passa, e vuoi mettere almeno puoi dire che ti sei tuffato e che non sei rimasto come un babbeo lì, in cima allo scoglio a guardare in basso mentre senti gli altri che urlano e tu li guardi e rosichi.

Perché il mare fa paura ma nuotare è bello.

In questi giorni in motorino ai semafori pensavo sempre a una cosa, dicevo poi la devo scrivere, ecco qui. Ho pensato che dietro a tutti i nomi poi le cose cambiano. Cioè, che non è vero che i nomi e le cose hanno un solo significato. Ci vorrebbe un esempio. Ok, se dici la parola Milano e magari non ci sei mai stato, allora pensi delle cose che se poi ci vai sono sempre diverse, perché è come il tuffo: se resti lì in cima allo scoglio senza buttarti allora non lo sai che il vuoto invece è qualcosa di pieno. Non so se mi spiego. Se poi ci vai vedi un sacco di cose, mangi, parli, ci vivi a Milano e allora quel posto diventa la tua casa, che è ben diverso da prima, quando era soltanto un nome e al massimo le immagini del Milan e dell’Inter a novantesimo minuto. Ma lo stesso vale per tutti i nomi, non è vero che i nomi hanno un solo significato, e poi il significato dei nomi ce lo metti tu, riempiendoli. E poi tutti questi significati cambiano tutto il tempo, come dire, cambiano, è così.

Ad esempio, prima stavo guardando una fotografia di una persona che ha un nome, la ingrandivo e la isolavo dallo sfondo, la guardavo, ma di certo il significato di quella persona a cui tengo molto non sta nella sua immagine, e men che meno nell’immagine di una fotografia. Non so se mi spiego, c’è molto di più, di una fotografia per riempire di significato una persona, figurati una città e figurati il mondo e figurati te stesso, che sei la cosa più vicina che hai, sei un prestito che qualcuno ti ha fatto o qualcosa, e lo sai che non dura per sempre è per questo che l’unica cosa che puoi fare è buttarti tutto il tempo, se no cosa ci stai a fare lassù, in cima allo scoglio. A guardare gli altri che si tuffano?

Leggi tutto